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Rapporto periodico sulla situazione del personale

Con un comunicato stampa del 30 aprile 2018 il Ministero del lavoro ha informato che, in considerazione dell'implementazione del sistema informatico, per il biennio 2016-2017 la scadenza per l'invio del Rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile (art. 46, d.lgs. n. 198/2006) è stata posticipata dal 30 aprile al 30 giugno 2018.

Sul portale istituzionale è stato contestualmente reso disponibile il nuovo applicativo informatico per l’elaborazione e l’invio dei rapporti cui sono tenuti i datori di lavoro pubblici e privati che occupano oltre 100 dipendenti.

La procedura telematica è accessibile tramite SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) oppure tramite le credenziali di accesso al portale dei servizi del dicastero Cliclavoro. Le informazioni da inserire nel modello informatizzato restano quelle indicate nel DM del 17 luglio 1996.

Il rapporto deve essere trasmesso:

  •  alle rappresentanze sindacali aziendali;
  • alla consigliera/e regionale di parità, che elabora i relativi risultati trasmettendoli alla consigliera/e nazionale di parità, al Ministero del lavoro e al Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

La mancata trasmissione – anche dopo l'invito alla regolarizzazione da parte dell'Ispettorato competente – comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 11 del DPR n. 520/1955 e, nei casi più gravi, può essere disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall'azienda.

Per la compilazione del rapporto è disponibile un’apposita Guida.

1 allegato

Guida_utente_RaPP

IMU e TASI 2018 - Coefficienti per i fabbricati D

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 99 del 30 aprile 2018 è stato pubblicato il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 19 aprile 2018, con il quale, in attuazione dell'art. 5, comma 3, del D.Lgs. 504/1992, sono stati aggiornati i coefficienti da utilizzare ai fini della determinazione del valore degli immobili classificabili nel Gruppo catastale D, non iscritti in catasto ed interamente posseduti da imprese, per il calcolo dell'Imposta Municipale propria (IMU) e del tributo per i servizi indivisibili (TASI), dovuti per l’anno 2018.
 
Il valore dei coefficienti varia da 3,13 per l'anno 1982 e precedenti, ad 1,01 per il 2018, come di seguito riportato.
 
2018
1,01
 
1998
1,55
2017
1,01
 
1997
1,59
2016
1,01
 
1996
1,64
2015
1,02
 
1995
1,69
2014
1,02
 
1994
1,74
2013
1,02
 
1993
1,78
2012
1,05
 
1992
1,79
2011
1,08
 
1991
1,83
2010
1,09
 
1990
1,91
2009
1,10
 
1989
2,00
2008
1,15
 
1988
2,09
2007
1,19
 
1987
2,26
2006
1,22
 
1986
2,44
2005
1,26
 
1985
2,61
2004
1,33
 
1984
2,79
2003
1,37
 
1983
2,96
2002
1,42
 
1982 e precedenti
3,13
2001
1,46
 
 
 
2000
1,51
 
 
 
1999
1,53
 
 
 
 
In sostanza, tali coefficienti si applicano all'ammontare dei costi risultanti dalle scritture contabili al 1° gennaiodell'anno di imposizione (o, se successiva, alla data di acquisizione), al lordo degli ammortamenti. I costi sono classificati per anno di formazione al fine di applicare i diversi coefficienti in relazione all'anno di sostenimento.
 
In merito, i nuovi coefficienti si applicano per determinare il valore degli immobili classificabili nel Gruppo catastale D, non iscritti in catasto ed interamente posseduti da imprese, per il relativo calcolo dell'IMU e della TASI[1].
 
Inoltre, restano confermati i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate [2] la quale precisa che nei costi devono essere considerati:
 
-                il costo originario di acquisto/costruzione compreso il costo del terreno;
-                le rivalutazioni sia economiche che fiscali;
-                gli interessi passivi capitalizzati;
-                le spese incrementative.
 
[1]  A tal riguardo, si ricorda che la base imponibile TASI è quella prevista per l’applicazione dell’IMU di cui all’art. 13 del D.L. 201/2011, convertito, con modificazioni, nella legge 214/2011.
[2] Cfr. R.M. 6/DF del 28 marzo 2013.
 
 
 

Sismabonus: OK dell’AdE per demolizione e ricostruzione

Accolto pienamente l’orientamento dell’ANCE: il “Sismabonus” è ammesso anche in caso di interventi di demolizione e ricostruzione di fabbricati esistenti, a condizione che venga mantenuta la volumetria originaria [1].

Questa la tesi dell’Agenzia delle Entrate contenuta nella RM n.34/E del 27 aprile 2018, che precisa, altresì, che il “Sismabonus” si applica anche per gli interventi di ricostruzione di edifici già danneggiati dal sisma e accatastati nella categoria F/2 (“unità collabenti”).
Inoltre, trattandosi di intervento di ristrutturazione edilizia, si applica l’aliquota IVA ridotta del 10%.
 
In particolare, l’Agenzia affronta il caso di applicazione della detrazione IRPEF/IRES per interventi di riduzione del rischio sismico (cd. “Sismabonus”, in vigore sino al 31 dicembre 2021 [2]), nell’ipotesi di demolizione e ricostruzione di un fabbricato “collabente”, già colpito dal sisma e per il quale, a seguito dei medesimi lavori, si otterrebbe la riduzione di due classi sismiche.
 
Sul punto, viene richiamato il parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, n.27/2018, con il quale è stato precisato che rientrano tra gli interventi di “ristrutturazione edilizia” (di cui all’art. 3, comma 1, lett.d, del DPR n.380/2001-Testo Unico dell’Edilizia) quelli di demolizione e ricostruzione di un edificio con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, e, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli (di cui al d.lgs. n. 42 del 2004), gli interventi di demolizione e ricostruzione che rispettino la medesima sagoma dell’edificio preesistente.
 
In conformità a quanto sostenuto dall’ANCE, il medesimo Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ha ritenuto che gli interventi di demolizione e ricostruzione rappresentano un’efficace strategia di riduzione del rischio sismico su una costruzione non adeguata alle norme tecniche medesime e, pertanto, “dal punto di vista tecnico, detti interventi possonocertamente rientrare fra quelli di cui all’art. 16-bis, comma 1, lett. i) del TUIR, relativi all’adozione di misure antisismiche”.
 
Stante tale orientamento, l’Agenzia delle Entrate, nella RM 34/E/2018, precisa quindi definitivamente che gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione di edifici adibiti ad abitazioni private o ad attività produttive possono essere ammessi al “Sismabonus”, nel rispetto di tutte le condizioni previste dalla norma agevolativa, sempreché concretizzino un intervento di ristrutturazione edilizia e non un intervento di nuova costruzione.
 
Pertanto, ai fini dell’applicazione della detrazione, è necessario che, dal provvedimento abilitativo dei lavori, risulti che l’opera consista in un intervento di conservazione del patrimonio edilizio esistente e non in un intervento di nuova costruzione.
 
L’Agenzia precisa, inoltre, la modalità di ripartizione delle spese tra comproprietari, confermando che, a prescindere dalla quota di proprietà, ciascuno ha diritto alla detrazione in funzione della spesa effettivamente sostenuta, come attestata dal bonifico di pagamento contenente nella causale il richiamo normativo che dà diritto alla detrazione d’imposta, e dall’intestazione delle fatture rilasciate dall’impresa che esegue i lavori.
 
Inoltre, il beneficio può spettare anche a colui che non risulti intestatario del bonifico e/o della fattura, nella misura in cui abbia sostenuto le spese. A tal fine, è necessario che i documenti di spesa (le fatture pagate) siano appositamente integrati con il nominativo del soggetto che ha sostenuto la spesa e con l'indicazione della relativa percentuale.
 
Per quanto riguarda, infine, l’IVA applicabile ai medesimi interventi di demolizione e fedele ricostruzione, la RM 34/E/2018 precisa l’applicazione dell’aliquota del 10%, ai sensi del n.127-quaterdecies) della Tabella A, Parte III, allegata al DPR 633/1972, sempre a condizione che, nel provvedimento autorizzativo dei lavori, gli interventi siano qualificati come ristrutturazione edilizia (in base all’art.3, co.1, lett.d del DPR 380/2001).
 
[2] Art.16, co.1bis-1sexies e co.2bis, del DL 63/2013, convertito con modificazioni nella legge 90/2013. CfrLegge di Bilancio 2018 - Misure fiscali in sintesi
[3] Cfr. CM 7/E del 4 aprile 2017 
 

Cessione del diritto di superficie: i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate C.M. n. 6/2018

La plusvalenza che deriva dalla cessione a titolo oneroso del diritto di superficie costituito su un’area fabbricabile rientra tra i redditi diversi. Rientra tra i redditi diversi anche la cessione a titolo oneroso del diritto costituito su un’area agricola, purché la cessione avvenga entro cinque anni dall’acquisto del diritto.
 
Questi sono alcuni chiarimenti resi dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 6/E del 20 aprile 2018 sul trattamento fiscale da applicare ai corrispettivi ricevuti a seguito di costituzione e cessione di diritto di superficie, operazione di diretto interesse per le imprese del settore edile nell’ipotesi in cui realizzino edifici e/o opere in diritto di superficie.
 
Con tale Circolare l’Agenzia delle Entrate, in sostanza, recepisce l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 15333 del 4 luglio 2014 in merito al regime tributario da applicare alle plusvalenze derivanti dalla cessione del diritto di superficie su un terreno agricolo di proprietà di una persona fisica, e così supera la Circolare 36/E del 19 dicembre 2013.
 
Per definire, dunque il trattamento tributario da applicare al corrispettivo conseguito dalla cessione a titolo oneroso di un diritto di superficie, ai fini delle imposte sui redditi,  viene richiamato l’art. 9, comma 5 del DPR 917/1986 (Tuir), che stabilisce che le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso si applicano anche agli atti che importano la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento.
 
Tale equiparazione opera ogni volta che si configura la costituzione o la cessione a titolo oneroso di diritti reali di godimento.
 
Dunque, alla costituzione e alla cessione di diritti reali di superficie [1], conclude l’Agenzia, deve essere applicata la normativa prevista per le cessioni a titolo oneroso e, in particolare, quella contenuta negli articoli 67 e 68 del Tuir relativi ai redditi diversi e al calcolo delle plusvalenze.
 
Di conseguenza, rientrano tra i redditi diversi i corrispettivi percepiti dalla persona fisica in caso di cessione del diritto di superficie:
  • di un’area fabbricabile, e in questo caso sarà tassata la differenza tra il costo di acquisto rivalutato e maggiorato delle spese, e il prezzo della vendita.
  • di un terreno agricolo, solo se la cessione è avvenuta entro i cinque anni dall’acquisto del terreno o del diritto.
In merito alla determinazione della plusvalenza, generata dalla costituzione del diritto di superficie, viene richiamato l’art. 68 del Tuir secondo cui la plusvalenza deriva dalla differenza tra i “corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo”.
 
Dunque, in caso di cessione di un diritto acquistato da meno di cinque anni, la plusvalenza sarà costituita dalla differenza tra il corrispettivo percepito nel periodo di imposta e il costo di acquisto del diritto stesso.
 
Se, invece, il diritto reale di superficie sia concesso senza un precedente acquisto a titolo oneroso, la plusvalenza sarà determinata individuando il “prezzo di acquisto” originario del diritto secondo un criterio di tipo proporzionale dato dal rapporto tra il valore complessivo attuale del terreno agricolo o dell’area fabbricabile e il corrispettivo percepito per la costituzione del diritto di superficie, da applicare al costo originario di acquisto del terreno[2].
 
[1] Disciplinato dall’art. 952 del Codice Civile “Il proprietario può costituire il diritto di fare e mantenere al disopra del suolo una costruzione a favore di altri, che ne acquista la proprietà. Del pari può alienare la proprietà della costruzione già esistente, separatamente dalla proprietà del suolo”.
[2] A tal riguardo la Circolare richiama la Risoluzione n.379/E del 10 ottobre 2008
 

Bonus “ristrutturazioni” e adempimenti: Sentenza n.1191/2018 CTR Lombardia

L’invio tardivo della comunicazione di inizio lavori al Centro Operativo di Pescara dell’Agenzia delle Entrate, (obbligo soppresso dal 14 maggio 2011 [1] non fa venire meno il diritto alla detrazione Irpef per interventi di ristrutturazione, ma ne determina l’esercizio tardivo. Il diritto alla detrazione, infatti, non decade solo per il fatto che la comunicazione di inizio lavori sia stata effettuata più tardi rispetto alla data effettiva di avvio della ristrutturazione.

Questo è quanto ha chiarito la Sentenza n.1191/2018 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che ha riconosciuto la spettanza delle detrazione fiscale dall’Irpef [2] (all’epoca nella misura del 36%) delle spese per interventi di ristrutturazione edilizia a un contribuente che aveva avviato i lavori nel 2008, ed effettuato la comunicazione di inizio lavori al Centro Operativo di Pescara dell’Agenzia delle Entrate, nel 2011.

L’orientamento espresso dalla Commissione Regionale della Lombardia è connesso a quando disposto dal DM 41/1998 che definisce le procedure di controllo in materia di detrazioni per le spese di ristrutturazione edilizia, ai sensi del quale l’invio della comunicazione di inizio lavori all’Agenzia delle Entrate rientra tra gli adempimenti a carico di chi intende avvalersi della detrazione, ma non è previsto a pena di decadenza.
In tal senso, l’invio tardivo della comunicazione dell’avvio dei lavori, non può determinare la perdita definitiva del diritto ad ottenere la detrazione, ma comporta il suo esercizio tardivo. In sostanza, ad avviso della Commissione, il ritardo può costituire, al limite, un’ipotesi di mera incompletezza formale della pratica agevolativa eventualmente da sanzionare in via amministrativa.

Nel caso di specie la Commissione Regionale afferma, inoltre, il principio per cui a rilevare è il fatto che il ritardo nell’invio della comunicazione non ha impedito all’Amministrazione finanziaria di effettuare i dovuti controlli relativamente alla pertinenza dei lavori di ristrutturazione con le spese di cui è stata chiesta la detrazione, essendo sufficienti, a tal fine, la documentazione relativa alla pratica edilizia, le fatture e i pagamenti bancari. 

[1] Cfr. l’art. 7 del DL 70 /2011.

[2] Cfr. Ance “ Ristrutturazioni edilizie – Nuova guida dell’Agenzia delle Entrate ” - 

1 allegato

Sentenza n.1191-2018

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