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Ambiente: definiti i criteri inquinanti per le attività di dragaggio

Per favorire gli interventi di riqualificazione ambientali marittimi nei siti di interesse nazionale SIN, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio e del mare ha definito i criteri per la definizione dei valori di riferimento specifici di concentrazione degli inquinanti per i materiali risultanti dalle attività di dragaggio.
I criteri sono contenuti nel Decreto dell'8 giugno 2016 pubblicato sulla GU del 23 giugno 2016, n. 145.
Le finalità poste dal provvedimento costituiscono un passo importante per l'attività di bonifica delle aree marittime all'interno dei SIN sia per il rispristino e il mantenimento di idonee condizioni per la funzionalità dei porti sia per garantire adeguati standard di qualità dell'ambiente acquatico e dovrebbero essere in grado di superare almeno una parte delle attuali problematiche che ne hanno rallentato l'esecuzione.

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In allegato:

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Decreto dell'8 giugno 2016

Trasparenza della pubblica amministrazione: pubblicato il decreto

E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'8 giugno 2016, n. 132 il decreto del 25 maggio 2016, n. 97 recante "Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche"(cd. Decreto Trasparenza).
Il decreto, che dà attuazione alla delega contenuta nell'articolo 7 della Legge 124/2015 (cd. Riforma della pubblica amministrazione), apporta importanti modifiche al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 con particolare riferimento all'ambito di applicazione degli obblighi e delle misure in materia di trasparenza della pubblica amministrazione.
In particolare, ai sensi del nuovo articolo 1, comma 1, del suindicato decreto la trasparenza è ora intesa come "accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all'attività amministrativa".
Si tratta di una modifica rilevante finalizzata a garantire la libertà di accesso ai dati e ai documenti in possesso della pubblica amministrazione tramite quello che viene definito il cosiddetto "accesso civico".
L'accesso civico è stato introdotto dal Decreto Legislativo 33/2013 e nella sua versione antecedente alle modifiche apportate dal Decreto Legislativo 97/2016 si sostanziava nel diritto di chiunque di richiedere documenti, informazioni o dati in merito ai quali la pubblica amministrazione ne aveva omessa la pubblicazione nei casi in cui vi era obbligata.
In pratica, l'accesso non era totalmente libero, ma scaturiva solo come conseguenza del mancato rispetto da parte della pubblica amministrazione del relativo obbligo di pubblicazione.
Con il decreto legislativo 97/2016 si amplia tale possibilità prevedendo l'accesso ai dati e ai documenti ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione allo scopo di favorire "forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico".
Viene così introdotto nel nostro ordinamento il FOIA (Freedom of information act) ovvero il meccanismo analogo al sistema anglosassone che consente ai cittadini di richiedere anche dati e documenti che le pubbliche amministrazioni non hanno l'obbligo di pubblicare seppure nel rispetto di alcuni limiti tassativi finalizzati ad evitare un pregiudizio concreto alla tutela dei seguenti interessi pubblici :
· la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico;
· la sicurezza nazionale;
· la difesa e le questioni militari;
· le relazioni internazionali;
· la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato;
· la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento;
· il regolare svolgimento di attività ispettive.
L'accesso non è altresì consentito per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:
· la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;
· la libertà e la segretezza della corrispondenza;
· gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali.
Il diritto è, inoltre, escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi previsti dall'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
Rispetto alla procedura di accesso ai documenti amministrativi di cui agli articoli 22 e seguenti della Legge 241/90, l'accesso civico è consentito senza alcuna limitazione soggettiva (ovvero non bisogna dimostrare di essere titolare di un interesse diretto, concreto e attuale ad una situazione giuridica qualificata), non deve la richiesta essere motivata ed è gratuita (salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto dall'amministrazione per la relativa riproduzione).
Relativamente alla procedura è previsto che la richiesta di accesso civico si concluda con un provvedimento espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell'istanza. In caso di diniego (totale o parziale) o mancata risposta entro il previsto termine il richiedente può presentare richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza che decide con provvedimento motivato, entro il termine di venti giorni.
Avverso la decisione dell'amministrazione competente o, in caso di richiesta di riesame, avverso quella del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, il richiedente puo' proporre ricorso al Tribunale amministrativo regionale. Qualora si tratti di atti delle amministrazioni delle regioni o degli enti locali, il richiedente può altresì presentare ricorso al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito.
Si evidenzia, infine, che è stata abrogata la norma contenuta nell'articolo 39, comma 1, lettera b) che prevedeva a carico della pubbliche amministrazioni l'obbligo di pubblicare per gli atti di governo del territorio (tra cui piani territoriali, piani di coordinamento, piani paesistici, strumenti urbanistici generali e attuativi nonché le varianti) gli schemi di provvedimento prima che siano portati ad approvazione; le delibere di adozione e approvazione; i relativi allegati.

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In allegato:

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Decreto Legislativo 25 maggio 2016, n. 97

Cartello di cantiere: obbligo punito anche penalmente

L'obbligo di esposizione del cartello di cantiere sussiste non solo all'inizio dell'attività edilizia ma anche quando i lavori sono sospesi. Così si espressa la III sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13963 del 7/4/2016 ritenendo configurabile il reato previsto dal D.P.R. n. 380/2001, art. 44, lett. a) che sanziona, con la pena dell'ammenda, l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal titolo IV del Testo unico edilizia, in quanto applicabili, l'inosservanza delle disposizioni dei regolamenti edilizi, l'inosservanza di prescrizioni contemplate dagli strumenti urbanistici e l'inosservanza delle prescrizioni fissate dal permesso di costruire.

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La circostanza che il cartello fosse presente all'inizio dei lavori non esclude la configurabilità del reato, in quanto ciò che rileva è che lo stesso non fosse esposto al momento del controllo da parte del personale di vigilanza, in quanto funzione del cartello è proprio quella di rendere edotti gli organi di vigilanza sull'esistenza di lavori edilizi, al fine di consentire l'espletamento di tutte quelle attività di verifica dell'osservanza della normativa edilizia e di corrispondenza dell'assentito al realizzato (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 30 aprile 2014, n. 28123). Inoltre, la finalità cui assolve l'obbligo di apposizione del cartello, deve ritenersi che sia anche quella di indicare i soggetti responsabili, nel caso in cui durante lo svolgimento delle attività di cantiere derivino danni a terzi (Cass. Pen., Sez. III, 22 maggio 2012, n. 40118). Da ciò consegue che l'esposizione del cartello protrarsi in maniera continuativa durante tutta la fase di esecuzione dei lavori compresi i periodi di momentanea sospensione, risultando irrilevante la causa di quest'ultima (nel caso di specie inattività del cantiere dovuta al ritardo nei pagamenti da parte del committente).

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Quanto, infine, ai soggetti responsabili di tale violazione, si legge nella sentenza, l'art. 29, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 non consente di differenziare le responsabilità del costruttore e del direttore dei lavori dei lavori da quella del committente, tanto meno sotto il profilo temporale dell'adempimento dell'obbligo di esposizione del cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo.

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Anche in passato la giurisprudenza si è occupata in varie occasioni delle conseguenze derivanti dalla mancata esposizione del cartello di cantiere. Ad esempio, è stato ritenuto applicabile l'art. 44 del TU Edilizia anche in caso di omissione della data di inizio dei lavori o dell'indicazione della ditta esecutrice delle opere, dati, questi ultimi, rientranti tra quelli indicati nel permesso di costruire (Cass. pen., Sez. III, sent. 23 febbraio 2012, n. 7070). Secondo la Cassazione, il cartello non solo deve essere esposto, ma deve essere anche ben visibile (Cass. pen., Sez. III, sent. 11 ottobre 2012, n. 40118).

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In allegato la sentenza n. 13963 del 7/4/2016

Danni causati da pioggia intensa: quando sussiste la forza maggiore

Si segnala una sentenza della Corte di Cassazione n. 5877 del 24 marzo 2016 che chiarisce quando un evento atmosferico di particolare intensità, nel caso di specie, una pioggia intensa e persistente, possa essere invocato quale esimente della responsabilità contrattuale. L'esimente potrebbe trovare spazio, ad esempio, nell'ambito di un contratto di appalto per lavori edili come anche nella responsabilità per danni agli immobili.
Una volta acquisiti i dati pluviometrici è possibile stabilire, evidenzia la Corte, se una pioggia di eccezionale intensità possa costituire o meno un evento riconducibile alla fattispecie della forza maggiore come tale idoneo ad interrompere il nesso di causalità, in considerazione del suo carattere di straordinarietà e imprevedibilità.
La possibilità di invocare il fortuito (o la forza maggiore) deve ritenersi ammessa, si legge nella sentenza, "nel solo caso in cui il fattore causale estraneo al soggetto danneggiante abbia un'efficacia di tale intensità da interrompere tout court il nesso eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, di tal che esso possa essere considerato una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento. È evidente, perciò, che un temporale di particolare forza ed intensità, protrattesi nel tempo e con modalità tali da uscire fuori dai normali canoni della meteorologia, può, in astratto, integrare gli estremi del caso fortuito o della forza maggiore, salva l'ipotesi in cui sia stata accertata l'esistenza di condotte astrattamente idonee a configurare una (cor)responsabilità del soggetto che invoca l'esimente in questione".
Si segnalano a chiusura altri precedenti giurisprudenziali richiamati nella commentata sentenza:
La sentenza 11 maggio 1991, n. 5267, dove si affermava che "per caso fortuito deve intendersi un avvenimento imprevedibile, un quid di imponderabile che si inserisce improvvisamente nella serie causale come fattore determinante in modo autonomo dell'evento. Il carattere eccezionale di un fenomeno naturale, nel senso di una sua ricorrenza saltuaria anche se non frequente, non è, quindi sufficiente, di per sé solo, a configurare tale esimente, in quanto non ne esclude la prevedibilità in base alla comune esperienza".
Nella sentenza 22 maggio 1998, n. 5133 la Corte affermò che "possono integrare il caso fortuito precipitazioni imprevedibili o di eccezionale entità", rilevando che l'evento imprevedibile costituisce caso fortuito e non determina responsabilità.
In tempi più recenti, la sentenza 9 marzo 2010, n. 5658, emessa in un giudizio di risarcimento danni nei confronti dell'ANAS per allagamenti conseguenti alla tracimazione delle acque ed alla cattiva manutenzione dei sistemi di smaltimento delle acque piovane, ha affermato che è certamente vero "che una pioggia di eccezionale intensità può anche costituire caso fortuito in relazione ad eventi di danno come quello in questione; ma non è affatto vero che una siffatta pioggia costituisca sempre e comunque un caso fortuito". Con quest'ultima pronuncia, in particolare, è stato precisato che, occorreva "dimostrare che le piogge in questione erano state da sole causa sufficiente dei danni nonostante la più scrupolosa manutenzione e pulizia da parte sua delle opere di smaltimento delle acque piovane; il che equivale in sostanza a dimostrare che le piogge in questione erano state così intense (e quindi così eccezionali) che gli allagamenti si sarebbero verificati nella stessa misura pure essendovi stata detta scrupolosa manutenzione e pulizia".

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In Allegato:

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Sentenza Corte di Cassazione civile, sez. III, n. 5877/2016

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