L’Autorità Nazionale Anticorruzione, su segnalazione dell’ANCE, ha sancito, con la delibera n. 247 del 16 marzo u.s, l’illegittimità della prassi, perpetrata da una stazione appaltante, operante nei settori speciali, di non corrispondere l’anticipazione del prezzo ex art. 35, comma 18, del Codice nei contratti sotto-soglia.
L’ANAC, infatti, ha chiarito che il versamento dell’anticipazione del prezzo all’impresa appaltatrice rappresenta un obbligo di portata generale, che non può essere circoscritto ai soli appalti sopra-soglia.
In motivazione, l’Autorità ha in primis ricordato che l’art. 35, comma 18, del Codice stabilisce che la stazione appaltante deve corrispondere all’appaltatore un’anticipazione del prezzo pari al 20% dell’importo totale previsto nel contratto d’appalto, entro quindici giorni dall’effettivo avvio dell’esecuzione, a condizione che venga preventivamente rilasciata apposita garanzia bancaria o assicurativa.
In linea con i principi affermati nella delibera n. 1050 del 14.11.2018, ha poi ribadito la portata generale della disposizione sopra riportata, la quale risponde alla ratio di assicurare all’affidatario le risorse necessarie per la delicata fase di avvio dei lavori, garantendo così l’interesse pubblico alla corretta e tempestiva esecuzione del contratto.
“Non avrebbe senso – si legge nel testo del provvedimento - precludere tale facoltà di accesso all’anticipazione per gli affidamenti di importo inferiore alle soglie comunitarie che spesso vedono protagoniste imprese di dimensioni medio piccole e maggiormente tutelate dal legislatore”.
L’articolo 35 deve, quindi, considerarsi una norma di carattere generale e non una norma specifica relativa ai contratti sopra soglia.
Ad ulteriore conferma di tale interpretazione, l’Autorità evidenzia altresì che l’art. 207 del D.L. n. 34 del 19.5.2020 (c.d. “Decreto Rilancio”), ha previsto la possibilità di incrementare l’anticipazione fino al 30% dell’importo del contratto, senza operare alcuna distinzione di importo.
In considerazione di quanto sopra detto., l’Autorità ha giudicato illegittimo il diniego di anticipazione del prezzo, operato dalla stazione appaltante, poiché in contrasto con il dispositivo di cui all’art. 35, comma 18 del Codice.
Per l’anno 2021, è salito ad 1,306 il valore del coefficiente “R” della formula contenuta nell’Allegato C del d.P.R. n. 207/2010 per il calcolo della tariffa applicata dalle SOA per l’esercizio dell’attività di attestazione (Comunicato del Presidente del 17 febbraio 2021, pubblicato il successivo 25 febbraio).
In particolare, l’aggiornamento annuale della tariffa - già presente nel previgente d.P.R. n. 34/2000 e calcolato dall’ISTAT - ha avuto nel tempo il seguente andamento:
Il coefficiente sta quindi ad indicare che dal 2001 la tariffa è cresciuta del 30,6%.
Da notare che, prima del 2005, il coefficiente “R” non era presente nella formula originaria del computo della tariffa SOA ex d.P.R. 34/2000, poiché questo è stato introdotto, assieme alla verifica triennale, con il D.P.R. 10 marzo 2004, n. 93.
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Con la sentenza emessa il 26 gennaio 2021 e depositata il 10 febbraio 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, e dell’art. 13 della legge n. 13 del 19 luglio 2019 della Regione Siciliana, cioè la legge regionale sugli appalti pubblici.
In particolare, con riferimento agli appalti di lavori, la Regione Sicilia aveva stabilito l'obbligo per le stazioni appaltanti di utilizzare il criterio del minor prezzo nei casi in cui l'affidamento degli appalti di lavori fosse stato d'importo pari o inferiore alla soglia comunitaria e svolto con procedure ordinarie sulla base del progetto esecutivo.
Inoltre, nella stessa legge era prevista una modalità di calcolo della anomalia diversa da quella prevista dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) su tutto il territorio nazionale.
Invero, rispetto al contenuto delle censure, è da precisare che le previsioni regionali disegnavano solo indirettamente una «soglia di anomalia», attraverso un peculiare meccanismo, per cui la gara doveva essere aggiudicata all’offerta che eguagliava la soglia – calcolata secondo le regole introdotte dalle stesse disposizioni impugnate – o che più vi si avvicinava per difetto.
Tanto approfondito, secondo la Corte Costituzionale, la legge regionale ha violato, l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che affida al legislatore statale la materia della concorrenza (viene citata la sentenza di questa Corte n. 1 del 2019).
Inoltre, poiché a sua volta interverrebbe in materia di procedure, selezione e criteri di aggiudicazione di gare pubbliche, tale legge:
Concludeva quindi la Corte, che la legge regionale “invade la sfera di competenza esclusiva statale in materia di ‘tutela della concorrenza’, adottando previsioni in contrasto con quelle del codice dei contratti pubblici” e, pertanto, dichiarava la sua illegittimità costituzionale.
Viene quindi confermato il costante orientamento della Corte Costituzionale, secondo cui «le disposizioni del codice dei contratti pubblici [...] regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e [...] le Regioni, anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse difforme (tra le tante, sentenze n. 263 del 2016, n. 36 del 2013, n. 328 del 2011, n. 411 e n. 322 del 2008)» (sentenze nn. 98 e 39 del 2020).
Ciò senza distinzioni relative ai contratti sotto soglia (sentenze nn. 98 e 39 del 2020 cit. e n. 263 del 2016, n. 184 del 2011, n. 283 e n. 160 del 2009, n. 401 del 2007).
Da notare che, mentre il provvedimento legislativo era stato impugnato per sospetta illegittimità costituzionale, la Regione aveva emanato alcune direttive confermando l’applicazione del calcolo regionale difforme da quello nazionale, in attesa dell’esito del ricorso pendente innanzi alla Corte Costituzionale.
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Con sentenza dell’8 febbraio u.s., la Sezione III-ter del TAR Lazio ha affermato che le norme della direttiva 2014/24 sugli appalti pubblici trovano applicazione, come stabilito dall’art. 4 della stessa, esclusivamente agli appalti che abbiano un importo, al netto dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), pari o superiore alle soglie di rilevanza dallo stesso individuate (e.s. appalti sopra-soglia).
Di conseguenza, secondo il Collegio, per gli appalti sotto-soglia non valgono i principi recentemente affermati dalla Corte di Giustizia dell’UE[1] sull’illegittimità dei limiti prefissati dal Codice dei Contratti alla quota di lavori subappaltabile, tornando applicabile la disciplina italiana che impone un tetto massimo della suddetta quota, pari al 30% dei lavori (elevato al 40% fino al 30 giugno 2021[2]).
In particolare, all’esito di una gara d’appalto di lavori di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, la società ricorrente (mandataria di un costituendo RTI classificatosi secondo in graduatoria) aveva chiesto, tra le altre cose, l’annullamento della disposizione del Disciplinare di gara che ammetteva il subappalto al 100% dei lavori afferenti alla categoria SIOS scorporabile (OS4 II), nonché, conseguentemente, del provvedimento di aggiudicazione ad altra impresa concorrente (la quale, per l’appunto, aveva dichiarato di voler subappaltare tutti i lavori afferenti alla categoria SIOS, non possedendo la necessaria qualificazione). Tale previsione della lex specialis era stata ritenuta, dalla ricorrente, in contrasto con l’art. 105, comma 5 del Codice, il quale vieta di subappaltare in misura superiora al 30% le opere super-specialistiche SIOS (qualora esse rivestano un valore almeno pari al il dieci per cento dell'importo totale dei lavori, come previsto dall’art. 89, comma 11).
Ebbene, il TAR ha, dapprima, ricordato che la giurisprudenza comunitaria - che ha ritenuto incompatibile con il diritto dell’Unione la disciplina interna che limita al 30% la parte dell'appalto che l'offerente è autorizzato a subappaltare a terzi - ha valutato l’incompatibilità dell’art. 105 del Codice esclusivamente in relazione alla direttiva 2014/24, nonostante il TAR Lombardia (organo giurisdizionale rimettente, nell’ordinanza ex art. 267 TFUE) avesse sollevato la questione anche con riferimento alla ipotizzata violazione delle disposizioni generali di cui agli art. 49 e 56 TFUE e del principio di proporzionalità.
In secundis, ha osservato che la giurisprudenza interna, recependo i dicta comunitari, ha recentemente affermato che “la norma del codice dei contratti pubblici che pone limiti al subappalto deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l’ordinamento euro-unitario”[3], aggiungendo che “è considerata contraria al diritto comunitario la previsione di un limite generale all’utilizzo di questo istituto che prescinda dal settore economico interessato, dalla natura delle prestazioni e dall’identità dei subappaltatori. L’affermazione di tale principio però non esclude che in casi specifici, con riferimento a determinate tipologie di appalto come quelle riguardanti le opere superspecialistiche, non possa essere giustificato un limite percentuale all’esperibilità del subappalto in relazione alla natura particolare delle prestazioni da svolgere”[4].
Alla luce del riferito quadro giurisprudenziale, il TAR Lazio, prescindendo in parte dalle contestazioni dell’impresa ricorrente (la quale, come detto, aveva censurato la lex specialis solo per contrasto con i limiti stabiliti per le SIOS, in tal modo sottintendendo che solamente tali limiti sarebbero dovuti ritenersi persistenti e ancora valevoli a seguito degli arresti della CGUE sopra menzionati), ha ritenuto che la disapplicazione delle norme nazionali sul subappalto per contrarietà alle direttive europee operi esclusivamente per le gare d’appalto sopra-soglia, valendo solamente per queste ultime le prescrizioni imposte dalle suddette direttive.
Di talché, secondo la sentenza in esame, in un appalto sotto-soglia consentire di subappaltare al 100% una categoria dei lavori - a prescindere dalla circostanza che si tratti di una scorporabile o di una SIOS - comporta un’illegittima violazione della disciplina del Codice dei Contratti, i cui limiti al subappalto stabiliti all’art. 105 trovano ancora integrale applicazione, non essendo stati “travolti” dalle pronunce comunitarie. Queste ultime, infatti, devono considerarsi valevoli solo per gli appalti la cui disciplina promana dalle direttive europee del 2014 (cioè, solo gli appalti sopra-soglia o, tutt’al più, per gli appalti sotto-soglia aventi interesse transfrontaliero certo).
A sostegno delle proprie conclusioni, il Collegio ha riportato le affermazioni rese dalla medesima Corte di Lussemburgo nella sentenza del 5 aprile 2017 (C-298/15), nella quale la Corte si era occupata, tra gli altri temi, proprio dell’ambito di applicazione delle direttive appalti.
A ben vedere, però, in quella sede, la CGUE sottolineava che le direttive citate costituiscono parametro di legittimità per le discipline interne oltre che per gli appalti di importo superiore alle soglie di rilevanza comunitaria, anche per gli appalti sotto-soglia, qualora la normativa interna ad essi relativa sia stata modellata sulle menzionate direttive.
Segnatamente, era stato dichiarato che “(…) quando una normativa nazionale si conforma, per le soluzioni che apporta a situazioni non disciplinate dall’atto dell’Unione considerato, a quelle adottate da tale atto, sussiste un interesse certo dell’Unione a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni riprese dallo stesso atto ricevano un’interpretazione uniforme”.
La stessa Corte di Giustizia aveva, peraltro, precisato che le direttive risultano applicabili agli affidamenti sotto-soglia qualora la procedura di affidamento abbia seguito le norme previste per gli affidamenti sopra-soglia.
Sul punto, era stato evidenziato che “(…) l’interpretazione delle disposizioni di un atto dell’Unione in situazioni non rientranti nell’ambito di applicazione di quest’ultimo si giustifica quando tali disposizioni sono state rese applicabili a siffatte situazioni dal diritto nazionale in modo diretto e incondizionato, al fine di assicurare un trattamento identico a dette situazioni e a quelle rientranti in tale ambito di applicazione”.
Infine, la Corte aggiungeva che, con riferimento all’aggiudicazione di un appalto il quale, in considerazione del suo valore, non rientra nell’ambito di applicazione delle direttive (i.e. appalto sotto-soglia), la valutazione della compatibilità del diritto interno con quello comunitario può essere condotta con riferimento alle norme fondamentali ed ai principi generali del TFUE “in particolare, degli articoli 49 e 56 dello stesso e dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione nonché dell’obbligo di trasparenza che ne derivano, purché l’appalto di cui trattasi presenti un interesse transfrontaliero certo. Infatti, sebbene non siano disciplinati dalla direttiva 2004/17, siffatti appalti restano soggetti al rispetto di tali regole e di detti principi”.
In altri termini, un appalto sotto-soglia, qualora la disciplina nazionale per esso stabilita risulti svincolata dalle direttive comunitarie e non sia stata applicata la disciplina prevista per i sopra-soglia per il suo affidamento, può essere censurato per contrasto con i principi sulla libertà di circolazione di cui agli artt. 49 e 56 del TFUE. Il tutto, a condizione che si tratti di un appalto sotto-soglia avente interesse transfrontaliero certo.
A riguardo, si ricorda che un appalto può presentare un siffatto interesse in considerazione, in particolare, dell’importo di una certa consistenza, in combinazione con le sue caratteristiche specifiche o ancora con il luogo di esecuzione dei lavori. Può altresì essere preso in considerazione l’interesse di operatori ubicati in altri Stati membri a partecipare alla procedura per l’aggiudicazione di tale appalto, a condizione che detto interesse sia reale e non fittizio[5].
Ciò premesso, si evidenzia che la sentenza del TAR Lazio non sembra essere pienamente in linea con il predetto orientamento della Corte UE.
Come sopra cennato, infatti, in base alle pronunce della CGUE – pure richiamate in sentenza - l’applicazione delle direttive - ed il conseguenze giudizio di compatibilità su di esse basato – non è condizionata solo dall’importo soprasoglia dell’appalto, ma risulta dirimente anche la procedura concretamente applicata.
Ora, nel caso in esame, la controversia verteva sulla legittimità degli atti di una gara aperta per l’affidamento di un appalto di lavori di importo a base d’asta pari a € 1.718.887,01 oltre IVA.
Ebbene, pur trattandosi di un affidamento sotto-soglia comunitaria, l’art. 36 del Codice dei contratti prevede il ricorso alla procedura di cui all’art. 60 per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a € 1.000.000 e fino alle soglie di rilevanza, con l’unica differenza rispetto agli affidamenti sopra-soglia della esclusione automatica dalla gara per le offerte anomale (salvo che si tratti di appalti sotto-soglia che presentino carattere transfrontaliero e a prescindere dal criterio di aggiudicazione prescelto).
In altri termini, per la normativa italiana, gli appalti rientranti nel suddetto range economico devono seguire le regole di affidamento della procedura aperta “classica” prevista anche per gli affidamenti sopra-soglia (salvo che per le gare indette entro il 31 dicembre 2021, in relazione alle quali il D.L. n. 76/2020 – “Semplificazioni”, convertito in L. n. 120/2020, ha previsto la possibilità per le stazioni appaltanti di esperire la procedura negoziata, senza bando, di cui all’articolo 63 del Codice, tra gli altri, per i lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e fino alle soglie di rilevanza, previa consultazione di almeno 15 operatori).
Ne deriva che, applicando le coordinate ermeneutiche della CGUE, tali affidamenti non sarebbero esenti dal rispetto dei principi enucleati nella direttiva 2014/24 e dal relativo giudizio di compatibilità, con la conseguenza che la disapplicazione dei limiti al subappalto dovrebbe ritenersi operante anche per questi.
Infatti, come detto, quando la normativa nazionale si conforma alle regole dettate dalle direttive anche per la disciplina di situazioni non direttamente regolate dalle stesse (come lo sono gli appalti sotto-soglia), sussiste un interesse certo dell’Unione a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni riprese dalle direttive medesime ricevano un’interpretazione uniforme, con conseguente estensione degli effetti del giudicato della Corte di Giustizia.
Tanto premesso, la sentenza del TAR Lazio potrebbe porsi in contrasto con quanto affermato dalla CGUE, in quanto, laddove per gli affidamenti sotto-soglia venga seguita la stessa disciplina prevista per i sopra-soglia, gli stessi soggiacciono ai principi eurounitari.
[1] Cfr. CGUE 26.9.19 (C-63-18) e CGUE 27.11.19 (C-402-18)
[2] ai sensi dell'art. 1, comma 18, secondo periodo, della legge n. 55 del 2019 e dell'art. 13, comma 2, lettera c), del decreto-legge n. 183 del 2020
[3] Cons. di Stato, sez. V, 17 dicembre 2020 n. 8101
[4] TAR Toscana, 9 luglio 2020 n. 898
[5] in tal senso, cfr. CGUE del 16 aprile 2015, Enterprise Focused Solutions, C-278/14)
L’ANAC ha pubblicato, sul proprio sito istituzionale, un testo, appartenente alla Collana scientifica, che - secondo quanto specificato dalla stessa Autorità - offre un contributo sulle tematiche inerenti la legalità e il contrasto alla corruzione, con particolare riferimento alla prevenzione, all'imparzialità dei funzionari pubblici, alla trasparenza amministrativa e ai contratti pubblici.
Nella Collana sono presenti due tipologie di scritti: le Monografie, edizioni tipografiche, e i Working papers in formato digitale e disponibili on line, cui appartiene quest’ultima pubblicazione, titolata “Data analysis e costruzione di indicatori di rischio di corruzione per la Banca Dati dei Contratti Pubblici”.
In particolare, il Working paper in esame rappresenta l’estratto di una Tesi di Laurea Magistrale in Informatica, nata con l’obiettivo di costruire - attraverso alcune tecniche di data analysis, applicate alla Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici - nuovi indicatori per la misurazione della corruzione coerenti con l’esigenza di disporre di strumenti oggettivi di rilevamento del fenomeno.
Nella prima parte del testo, viene evidenziato il complesso ed articolato sistema di definizioni della “corruzione” da cui l’autore desume la difficile sintesi in un algoritmo; nella seconda parte, lo studio si incentra su 6 possibili indicatori in grado di quantificare la corruzione o meglio di evidenziare “valori sospetti” espressi dalle stazioni appaltanti.
Tra questi ultimi, il primo indicatore riguarda l’incidenza delle procedure che utilizzano il criterio dell’offerta più vantaggiosa (OEPV) in rapporto al numero totale delle procedure di appalto, ciò in ragione di un più alto rischio di discrezionalità rispetto al criterio del prezzo più basso. Motivo per il quale, l’utilizzo dell’OEPV sarebbe – secondo l’autore - più indicato per appalti complessi, mentre il criterio del prezzo più basso sarebbe da preferire per appalti con componenti standardizzate.
Con il secondo e terzo indicatore, l’analisi degli appalti viene affrontata dal punto di vista delle tipologie di scelta del contraente, valutando:
Il quarto indicatore, conta i bandi per il quale è stata presentata una sola offerta e che di conseguenza hanno coinvolto un solo partecipante.
Con il quinto e sesto indicatore diviene possibile affrontare le variabili riguardanti il tempo - non solo misurare quantità e importo degli appalti, ovvero quello:
Ciò con l’idea che ad un tempo molto stretto (soprattutto prendendo in considerazione l’importo) possa corrispondere, in generale, una situazione da monitorare.
Tali indicatori - una volta identificati e, laddove già preesistenti, rielaborati - sono stati riparametrati sulla base dei dati ricavati dalla Banca Dati dei Contratti Pubblici, seppure quest’ultima abbia evidenziato diverse criticità, tra cui, la presenza di dati “sporchi o incompleti” e, in ogni caso, esprimesse rilevazioni relative ai soli ultimi 3 anni.
Il risultato finale è stata la costruzione di tabelle riassuntive dei valori attribuiti a ciascuna stazione appaltante in ciascun indice, sintetizzati in una colonna dedicata al Corruption Indicator Score (CIS) complessivo, espresso con un punteggio capace di evidenziare le amministrazioni a maggior rischio di corruzione.
Rispetto ai tanti indicatori già presenti, quest’ultimo, il CIS, elaborato nel Working paper in esame, supera i rischi di soggettività insiti negli indicatori perception based, - ossia quelli elaborati sulle opinioni e le percezioni di un campione di intervistati - a favore di dati oggettivi ufficiali trasmessi dalle amministrazioni pubbliche italiane.
Gli “indicatori” individuati sono, a ben vedere, gli stessi sui quali l’ANCE ha sempre posto attenzione, concentrandovi la sua azione, proprio perché “sintomatici” di possibili opacità nel mercato.
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