Il Consiglio di Stato (sentenza, sez. V, 20 novembre 2015, n. 5287) è nuovamente intervenuto in materia di sanzioni per il ritardato pagamento del contributo di costruzione (art. 42 Dpr 380/2001) confermando l'orientamento in base al quale il comune, in caso di inadempimento da parte del privato, ha l'obbligo di escutere preventivamente l'eventuale garanzia prestata (vedi anche Oneri di urbanizzazione: obbligo di correttezza del comune nella riscossione coattiva del 28 novembre 2014).
L'obbligo dell'amministrazione di attivarsi per escutere la fideiussione prima di applicare le sanzioni ha un duplice fondamento:
- il dovere di correttezza nell'attuazione del rapporto obbligatorio sancito dall'art. 1175 del Codice Civile, secondo il quale il creditore ha il dovere di cooperare con il debitore per il puntuale adempimento dell'obbligazione;
- il principio di imparzialità dell'azione amministrativa sancito dall'art. 97 della Costituzione. Le sanzioni pecuniarie previste dall'art. 42 del Dpr 380/2001 (e in precedenza dall'art. 3 Legge 47/1985) si giustificano infatti con la necessità per l'ente locale di disporre tempestivamente delle somme spettanti alla celere realizzazione delle opere di urbanizzazione e la garanzia prestata dal privato, con i conseguenti maggiori oneri che quest'ultimo deve sopportare per il relativo rilascio, viene prestata proprio per evitare il ritardato pagamento (Consiglio di Stato, sez. V, 21 novembre 2014, n. 5734).
Sulla base di questi principi il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di una impresa contro l'ingiunzione di pagamento delle sanzioni di cui all'art. 42 Dpr 380/2001, considerato che il comune avrebbe potuto soddisfare agevolmente il proprio credito, avendo il privato prestato a garanzia del versamento del contributo di costruzione una polizza fideiussoria escutibile a semplice richiesta del creditore e priva del beneficio della preventiva escussione del debitore principale (art. 1944, comma 2 Codice civile).
La preventiva escussione della fideiussione avrebbe infatti evitato l'applicazione delle sanzioni, quantomeno di quelle previste per i casi di ritardo prolungato (art. 42, comma 2, lett. b) e c) Dpr 380/2001).
Il Consiglio di Stato sez. VI con sentenza n. 4225/2015 è intervenuto in tema di bonifica dei siti inquinati per escludere la responsabilità del proprietario non colpevole in merito alle attività di rimozione, messa in sicurezza e bonifica dell'area contaminata.
La disciplina nazionale che regola la responsabilità per danno ambientale si basa sul principio comunitario del "chi inquina paga" (cfr. art. 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea e la Direttiva 2004/35/CE) da interpretarsi, ad avviso del Consiglio di Stato, come necessaria esistenza di un nesso di causalità tra condotta dell'operatore ed evento dannoso ai fini dell'attribuzione della relativa responsabilità. Questo esclude, a parere dei giudici, la possibilità di attribuire al proprietario del sito "una responsabilità oggettiva imprenditoriale".
Sul tema, in questa direzione, sono intervenute l'Adunanza Plenaria con ordinanza n.21 del 25 settembre 2013 e la Corte di Lussemburgo con sentenza del 4 marzo 2015 resa nella causa C-534/13.
La prima ha escluso il potere dell'Amministrazione di imporre al proprietario non colpevole dell'inquinamento l'obbligo di adottare misure di sicurezza di emergenza e di bonifica, salvi gli effetti previsti dall'art. 253 del D.Lgs. 152/2006.
La seconda ha risolto positivamente il quesito interpretativo relativo alla compatibilità tra i principi comunitari di prevenzione e riparazione del danno ambientale e una normativa nazionale che "non consenta all'autorità Amministrativa d'imporre l'esecuzione di misure di sicurezza di emergenza e bonifica al proprietario non responsabile dell'inquinamento".
Di conseguenza, ad avviso del Consiglio di Stato la legge n.549/1995 ("Misure di razionalizzazione della finanza pubblica") nella parte in cui (art.3 comma 32) fissava la responsabilità solidale del proprietario dell'area inquinata, è da ritenersi implicitamente abrogata per ragioni di "oggettiva incompatibilità con la sopravvenuta normativa primaria in tema di distribuzione degli oneri per il caso di deposito non autorizzato di rifiuti".
Partendo dall'esame delle disposizioni del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell'Ambiente) il Consiglio di Stato ha individuato, in tema di responsabilità per danno ambientale, alcuni principi applicativi:
· il proprietario dell'area è tenuto alle misure di prevenzione (art. 245 comma 2) ossia alle "iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia"( art.240 comma 1 lettera i);
\r\n· gli interventi di riparazione, messa in sicurezza e bonifica gravano sul responsabile dell'inquinamento (art.244 comma 2);
· nel caso in cui il responsabile non sia individuabile o non provveda (o non provveda spontaneamente il proprietario) gli interventi necessari sono adottati dalla pubblica amministrazione competente (art. 244 comma 4);
· le spese sostenute dalla pubblica amministrazione potranno essere recuperate sulla base di un provvedimento motivato (che deve giustificare l'impossibilità di accertare l'identità del responsabile) agendo in rivalsa verso il proprietario che risponderà nei limiti del valore di mercato del sito a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi (art. 253 comma 3);
· a garanzia del diritto di rivalsa, il sito è gravato di un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253 commi 1 e 2).
In allegato:
\r\nSentenza del Consiglio di Stato n.4225/201
\r\n
Le Regioni non hanno il potere di varare autonomamente una sanatoria edilizia "straordinaria" limitata al solo territorio regionale; spetta esclusivamente al legislatore statale la scelta di prevedere un condono per agli abusi commessi sul territorio nazionale.
È quanto ha ribadito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 233 del 19 novembre 2015 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della LR Toscana 65/2014 nella parte in cui (artt. 207 e 208) ha previsto un particolare regime sanzionatorio, diverso da quello del DPR 380/2001 "Testo Unico Edilizia", che per taluni immobili abusivi produce gli effetti tipici del condono edilizio (vedi anche Conflitto Stato-Regioni: impugnata la nuova legge della Toscana sul governo del territorio del 16/1/15).
In particolare la normativa delle Toscana prevede, in deroga alle sanzioni demolitorie ordinarie, la possibilità, sia per gli abusi edilizi anteriori al 1° settembre 1967 (data di entrata in vigore della Legge 765/1967 cd. "legge ponte), sia per quelli eseguiti fra il 1° settembre 1967 e il 17 marzo 1985 (data di entrata in vigore della Legge 47/1985), di applicare soltanto una sanzione pecuniaria, nei casi in cui il comune giudichi non più sussistente l'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi.
In questi casi la Consulta ha evidenziato che è consentita di fatto la conservazione dell'immobile ed oltretutto è permessa espressamente l'esecuzione di opere ulteriori (demolizione e ricostruzione, aumento numero unità immobiliari, ecc.).
Gli art. 207 e 208 LR 65/2014 pertanto si pongono in contrasto con la disciplina statale di principio contenuta nel Testo Unico Edilizia e violano, da un lato, la competenza concorrente Stato-Regioni in materia di governo del territorio e, dall'altro, la competenza esclusiva dello Stato in materia penale.
Non sono state censurate invece le altre norme della LR 65/2014 impugnate dal Governo e relative all'approvazione di previsioni urbanistiche in materia di medie e grandi strutture di vendita (artt. 25 – 27).
In allegato
\r\nDal 18 ottobre scorso non è più obbligatorio esporre il contrassegno di assicurazione. Si rimanda alla lettura della circ.n.73-2015, pubblicata nell'area riservata.