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Appalti pubblici: censurata la legge siciliana

Con la sentenza emessa il 26 gennaio 2021 e depositata il 10 febbraio 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, e dell’art. 13 della legge n. 13 del 19 luglio 2019 della Regione Siciliana, cioè la legge regionale sugli appalti pubblici.

In particolare, con riferimento agli appalti di lavori, la Regione Sicilia aveva stabilito  l'obbligo per le stazioni appaltanti di utilizzare il criterio del minor prezzo nei casi in cui l'affidamento degli appalti di lavori fosse stato d'importo pari o inferiore alla soglia comunitaria e svolto con procedure ordinarie sulla base del progetto esecutivo.

Inoltre, nella stessa legge era prevista una modalità di calcolo della anomalia diversa da quella prevista dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) su tutto il territorio nazionale.

Invero, rispetto al contenuto delle censure, è da precisare che le previsioni regionali disegnavano solo indirettamente una «soglia di anomalia», attraverso un peculiare meccanismo, per cui la gara doveva essere aggiudicata all’offerta che eguagliava la soglia – calcolata secondo le regole introdotte dalle stesse disposizioni impugnate – o che più vi si avvicinava per difetto.

Tanto approfondito, secondo la Corte Costituzionale, la legge regionale ha violato, l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che affida al legislatore statale la materia della concorrenza (viene citata la sentenza di questa Corte n. 1 del 2019).

Inoltre, poiché a sua volta interverrebbe in materia di procedure, selezione e criteri di aggiudicazione di gare pubbliche, tale legge:

  1. si porrebbe, nel primo caso, in contrasto con quanto previsto dagli artt. 95 e 36del Codice dei contratti che demanderebbero alle singole stazioni appaltanti l'individuazione del criterio da utilizzare;
  2. stabilirebbe, nel secondo caso, una disciplina diversa da quella contenuta nell'art. 97, commi 2, 2-bis e 2-ter, del d.lgs. n. 50 del 2016 (di seguito: codice dei contratti pubblici).

Concludeva quindi la Corte, che la legge regionale “invade la sfera di competenza esclusiva statale in materia di ‘tutela della concorrenza’, adottando previsioni in contrasto con quelle del codice dei contratti pubblici” e, pertanto, dichiarava la sua illegittimità costituzionale.

Viene quindi confermato il costante orientamento della Corte Costituzionale, secondo cui  «le disposizioni del codice dei contratti pubblici [...] regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e [...] le Regioni, anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse difforme (tra le tante, sentenze n. 263 del 2016, n. 36 del 2013, n. 328 del 2011, n. 411 e n. 322 del 2008)» (sentenze nn. 98 e 39 del 2020).

Ciò senza distinzioni relative ai contratti sotto soglia (sentenze nn. 98 e 39 del 2020 cit. e n. 263 del 2016, n. 184 del 2011, n. 283 e n. 160 del 2009, n. 401 del 2007).

Da notare che, mentre il provvedimento legislativo era stato impugnato per sospetta illegittimità costituzionale, la Regione aveva emanato alcune direttive confermando l’applicazione del calcolo regionale difforme da quello nazionale, in attesa dell’esito del ricorso pendente innanzi alla Corte Costituzionale.

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Subappalto: ancora validi i limiti percentuali per i sotto-soglia

Con sentenza dell’8 febbraio u.s., la Sezione III-ter del TAR Lazio ha affermato che le norme della direttiva 2014/24 sugli appalti pubblici trovano applicazione, come stabilito dall’art. 4 della stessa, esclusivamente agli appalti che abbiano un importo, al netto dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), pari o superiore alle soglie di rilevanza dallo stesso individuate (e.s. appalti sopra-soglia).

Di conseguenza, secondo il Collegio, per gli appalti sotto-soglia non valgono i principi recentemente affermati dalla Corte di Giustizia dell’UE[1] sull’illegittimità dei limiti prefissati dal Codice dei Contratti alla quota di lavori subappaltabile, tornando applicabile la disciplina italiana che impone un tetto massimo della suddetta quota, pari al 30% dei lavori (elevato al 40% fino al 30 giugno 2021[2]).

In particolare, all’esito di una gara d’appalto di lavori di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, la società ricorrente (mandataria di un costituendo RTI classificatosi secondo in graduatoria) aveva chiesto, tra le altre cose, l’annullamento della disposizione del Disciplinare di gara che ammetteva il subappalto al 100% dei lavori afferenti alla categoria SIOS scorporabile (OS4 II), nonché, conseguentemente, del provvedimento di aggiudicazione ad altra impresa concorrente (la quale, per l’appunto, aveva dichiarato di voler subappaltare tutti i lavori afferenti alla categoria SIOS, non possedendo la necessaria qualificazione). Tale previsione della lex specialis era stata ritenuta, dalla ricorrente, in contrasto con l’art. 105, comma 5 del Codice, il quale vieta di subappaltare in misura superiora al 30% le opere super-specialistiche SIOS (qualora esse rivestano un valore almeno pari al il dieci per cento dell'importo totale dei lavori, come previsto dall’art. 89, comma 11).

Ebbene, il TAR ha, dapprima, ricordato che la giurisprudenza comunitaria - che ha ritenuto incompatibile con il diritto dell’Unione la disciplina interna che limita al 30% la parte dell'appalto che l'offerente è autorizzato a subappaltare a terzi - ha valutato l’incompatibilità dell’art. 105 del Codice esclusivamente in relazione alla direttiva 2014/24, nonostante il TAR Lombardia (organo giurisdizionale rimettente, nell’ordinanza ex art. 267 TFUE) avesse sollevato la questione anche con riferimento alla ipotizzata violazione delle disposizioni generali di cui agli art. 49 e 56 TFUE e del principio di proporzionalità.

In secundis, ha osservato che la giurisprudenza interna, recependo i dicta comunitari, ha recentemente affermato che “la norma del codice dei contratti pubblici che pone limiti al subappalto deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l’ordinamento euro-unitario[3], aggiungendo che “è considerata contraria al diritto comunitario la previsione di un limite generale all’utilizzo di questo istituto che prescinda dal settore economico interessato, dalla natura delle prestazioni e dall’identità dei subappaltatori. L’affermazione di tale principio però non esclude che in casi specifici, con riferimento a determinate tipologie di appalto come quelle riguardanti le opere superspecialistiche, non possa essere giustificato un limite percentuale all’esperibilità del subappalto in relazione alla natura particolare delle prestazioni da svolgere[4].

Alla luce del riferito quadro giurisprudenziale, il TAR Lazio, prescindendo in parte dalle contestazioni dell’impresa ricorrente (la quale, come detto, aveva censurato la lex specialis solo per contrasto con i limiti stabiliti per le SIOS, in tal modo sottintendendo che solamente tali limiti sarebbero dovuti ritenersi persistenti e ancora valevoli a seguito degli arresti della CGUE sopra menzionati), ha ritenuto che la disapplicazione delle norme nazionali sul subappalto per contrarietà alle direttive europee operi esclusivamente per le gare d’appalto sopra-soglia, valendo solamente per queste ultime le prescrizioni imposte dalle suddette direttive.

Di talché, secondo la sentenza in esame, in un appalto sotto-soglia consentire di subappaltare al 100% una categoria dei lavori - a prescindere dalla circostanza che si tratti di una scorporabile o di una SIOS - comporta un’illegittima violazione della disciplina del Codice dei Contratti, i cui limiti al subappalto stabiliti all’art. 105 trovano ancora integrale applicazione, non essendo stati “travolti” dalle pronunce comunitarie. Queste ultime, infatti, devono considerarsi valevoli solo per gli appalti la cui disciplina promana dalle direttive europee del 2014 (cioè, solo gli appalti sopra-soglia o, tutt’al più, per gli appalti sotto-soglia aventi interesse transfrontaliero certo).

A sostegno delle proprie conclusioni, il Collegio ha riportato le affermazioni rese dalla medesima Corte di Lussemburgo nella sentenza del 5 aprile 2017 (C-298/15), nella quale la Corte si era occupata, tra gli altri temi, proprio dell’ambito di applicazione delle direttive appalti.

A ben vedere, però, in quella sede, la CGUE sottolineava che le direttive citate costituiscono parametro di legittimità per le discipline interne oltre che per gli appalti di importo superiore alle soglie di rilevanza comunitaria, anche per gli appalti sotto-soglia, qualora la normativa interna ad essi relativa sia stata modellata sulle menzionate direttive.

Segnatamente, era stato dichiarato che “(…) quando una normativa nazionale si conforma, per le soluzioni che apporta a situazioni non disciplinate dall’atto dell’Unione considerato, a quelle adottate da tale atto, sussiste un interesse certo dell’Unione a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni riprese dallo stesso atto ricevano un’interpretazione uniforme.

La stessa Corte di Giustizia aveva, peraltro, precisato che le direttive risultano applicabili agli affidamenti sotto-soglia qualora la procedura di affidamento abbia seguito le norme previste per gli affidamenti sopra-soglia.

Sul punto, era stato evidenziato che “(…) l’interpretazione delle disposizioni di un atto dell’Unione in situazioni non rientranti nell’ambito di applicazione di quest’ultimo si giustifica quando tali disposizioni sono state rese applicabili a siffatte situazioni dal diritto nazionale in modo diretto e incondizionato, al fine di assicurare un trattamento identico a dette situazioni e a quelle rientranti in tale ambito di applicazione”.

Infine, la Corte aggiungeva che, con riferimento all’aggiudicazione di un appalto il quale, in considerazione del suo valore, non rientra nell’ambito di applicazione delle direttive (i.e. appalto sotto-soglia), la valutazione della compatibilità del diritto interno con quello comunitario può essere condotta con riferimento alle norme fondamentali ed ai principi generali del TFUE “in particolare, degli articoli 49 e 56 dello stesso e dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione nonché dell’obbligo di trasparenza che ne derivano, purché l’appalto di cui trattasi presenti un interesse transfrontaliero certo. Infatti, sebbene non siano disciplinati dalla direttiva 2004/17, siffatti appalti restano soggetti al rispetto di tali regole e di detti principi”.

In altri termini, un appalto sotto-soglia, qualora la disciplina nazionale per esso stabilita risulti svincolata dalle direttive comunitarie e non sia stata applicata la disciplina prevista per i sopra-soglia per il suo affidamento, può essere censurato per contrasto con i principi sulla libertà di circolazione di cui agli artt. 49 e 56 del TFUE. Il tutto, a condizione che si tratti di un appalto sotto-soglia avente interesse transfrontaliero certo.

A riguardo, si ricorda che un appalto può presentare un siffatto interesse in considerazione, in particolare, dell’importo di una certa consistenza, in combinazione con le sue caratteristiche specifiche o ancora con il luogo di esecuzione dei lavori. Può altresì essere preso in considerazione l’interesse di operatori ubicati in altri Stati membri a partecipare alla procedura per l’aggiudicazione di tale appalto, a condizione che detto interesse sia reale e non fittizio[5].

Ciò premesso, si evidenzia che la sentenza del TAR Lazio non sembra essere pienamente in linea con il predetto orientamento della Corte UE.

Come sopra cennato, infatti, in base alle pronunce della CGUE – pure richiamate in sentenza - l’applicazione delle direttive - ed il conseguenze giudizio di compatibilità su di esse basato – non è condizionata solo dall’importo soprasoglia dell’appalto, ma risulta dirimente anche la procedura concretamente applicata.

Ora, nel caso in esame, la controversia verteva sulla legittimità degli atti di una gara aperta per l’affidamento di un appalto di lavori di importo a base d’asta pari a € 1.718.887,01 oltre IVA.

Ebbene, pur trattandosi di un affidamento sotto-soglia comunitaria, l’art. 36 del Codice dei contratti prevede il ricorso alla procedura di cui all’art. 60 per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a € 1.000.000 e fino alle soglie di rilevanza, con l’unica differenza rispetto agli affidamenti sopra-soglia della esclusione automatica dalla gara per le offerte anomale (salvo che si tratti di appalti sotto-soglia che presentino carattere transfrontaliero e a prescindere dal criterio di aggiudicazione prescelto).

In altri termini, per la normativa italiana, gli appalti rientranti nel suddetto range economico devono seguire le regole di affidamento della procedura aperta “classica” prevista anche per gli affidamenti sopra-soglia (salvo che per le gare indette entro il 31 dicembre 2021, in relazione alle quali il D.L. n. 76/2020 – “Semplificazioni”, convertito in L. n. 120/2020, ha previsto la possibilità per le stazioni appaltanti di esperire la procedura negoziata, senza bando, di cui all’articolo 63 del Codice, tra gli altri, per i lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e fino alle soglie di rilevanza, previa consultazione di almeno 15 operatori).

Ne deriva che, applicando le coordinate ermeneutiche della CGUE, tali affidamenti non sarebbero esenti dal rispetto dei principi enucleati nella direttiva 2014/24 e dal relativo giudizio di compatibilità, con la conseguenza che la disapplicazione dei limiti al subappalto dovrebbe ritenersi operante anche per questi.

Infatti, come detto, quando la normativa nazionale si conforma alle regole dettate dalle direttive anche per la disciplina di situazioni non direttamente regolate dalle stesse (come lo sono gli appalti sotto-soglia), sussiste un interesse certo dell’Unione a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni riprese dalle direttive medesime ricevano un’interpretazione uniforme, con conseguente estensione degli effetti del giudicato della Corte di Giustizia.

Tanto premesso, la sentenza del TAR Lazio potrebbe porsi in contrasto con quanto affermato dalla CGUE, in quanto, laddove per gli affidamenti sotto-soglia venga seguita la stessa disciplina prevista per i sopra-soglia, gli stessi soggiacciono ai principi eurounitari.

 

[1] Cfr. CGUE 26.9.19 (C-63-18) e CGUE 27.11.19 (C-402-18)

[2]  ai sensi dell'art. 1, comma 18, secondo periodo, della legge n. 55 del 2019 e dell'art. 13, comma 2, lettera c), del decreto-legge n. 183 del 2020

[3] Cons. di Stato, sez. V, 17 dicembre 2020 n. 8101

[4] TAR Toscana, 9 luglio 2020 n. 898

[5] in tal senso, cfr. CGUE del 16 aprile 2015, Enterprise Focused Solutions, C-278/14)

 

ANAC: ipotizzato un nuovo indicatore della corruzione

L’ANAC ha pubblicato, sul proprio sito istituzionale, un testo, appartenente alla Collana scientifica, che - secondo quanto specificato dalla stessa Autorità - offre un contributo sulle tematiche inerenti la legalità e il contrasto alla corruzione, con particolare riferimento alla prevenzione, all'imparzialità dei funzionari pubblici, alla trasparenza amministrativa e ai contratti pubblici.

Nella Collana sono presenti due tipologie di scritti: le Monografie, edizioni tipografiche, e i Working papers in formato digitale e disponibili on line, cui appartiene quest’ultima pubblicazione, titolata “Data analysis e costruzione di indicatori di rischio di corruzione per la Banca Dati dei Contratti Pubblici”.

In particolare, il Working paper in esame rappresenta l’estratto di una Tesi di Laurea Magistrale in Informatica, nata con l’obiettivo di costruire - attraverso alcune tecniche di data analysis, applicate alla Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici - nuovi indicatori per la misurazione della corruzione coerenti con l’esigenza di disporre di strumenti oggettivi di rilevamento del fenomeno.

Nella prima parte del testo, viene evidenziato il complesso ed articolato sistema di definizioni della “corruzione” da cui l’autore desume la difficile sintesi in un algoritmo; nella seconda parte, lo studio si incentra su 6 possibili indicatori in grado di quantificare la corruzione o meglio di evidenziare “valori sospetti” espressi dalle stazioni appaltanti.

Tra questi ultimi, il primo indicatore riguarda l’incidenza delle procedure che utilizzano il criterio dell’offerta più vantaggiosa (OEPV) in rapporto al numero totale delle procedure di appalto, ciò in ragione di un più alto rischio di discrezionalità rispetto al criterio del prezzo più basso. Motivo per il quale, l’utilizzo dell’OEPV sarebbe – secondo l’autore - più indicato per appalti complessi, mentre il criterio del prezzo più basso sarebbe da preferire per appalti con componenti standardizzate.

Con il secondo e terzo indicatore, l’analisi degli appalti viene affrontata dal punto di vista delle tipologie di scelta del contraente, valutando:

  • il rapporto degli appalti aggiudicati attraverso una tipologia di scelta del contraente priva di competizione sul totale, sottintendendo che una stazione appaltante che totalizza una significativa percentuale di gare “non aperte” su un numero elevato di gare totali, evidenzia un comportamento recidivo da segnalare ed eventualmente da monitorare;
  • il valore totale delle procedure non aperte attivate dalla stazione appaltante, che a differenza del precedente indice si focalizzata sugli importi e non sul loro numero.

Il quarto indicatore, conta i bandi per il quale è stata presentata una sola offerta e che di conseguenza hanno coinvolto un solo partecipante.

Con il quinto e sesto indicatore diviene possibile affrontare le variabili riguardanti il tempo - non solo misurare quantità e importo degli appalti, ovvero quello:

  • compreso tra la data di pubblicazione del bando e la sua data di scadenza di presentazione delle offerte;
  • necessario per addivenire all’aggiudicazione.

Ciò con l’idea che ad un tempo molto stretto (soprattutto prendendo in considerazione l’importo) possa corrispondere, in generale, una situazione da monitorare.

Tali indicatori - una volta  identificati e, laddove già preesistenti, rielaborati - sono stati riparametrati sulla base dei dati ricavati dalla Banca Dati dei Contratti Pubblici, seppure quest’ultima abbia evidenziato diverse criticità, tra cui, la presenza di dati “sporchi o incompleti” e, in ogni caso, esprimesse rilevazioni relative ai soli ultimi 3 anni.

Il risultato finale è stata la costruzione di tabelle riassuntive dei valori attribuiti a ciascuna stazione appaltante in ciascun indicesintetizzati in una colonna dedicata al  Corruption Indicator Score (CIS) complessivo, espresso con un punteggio capace di evidenziare le amministrazioni a maggior rischio di corruzione.

Rispetto ai tanti indicatori già presenti, quest’ultimo, il CIS, elaborato nel Working paper in esame, supera i rischi di soggettività insiti negli indicatori perception based,  - ossia quelli elaborati sulle opinioni e le percezioni di un campione di intervistati -   a favore di dati oggettivi ufficiali  trasmessi dalle amministrazioni pubbliche italiane.

Gli “indicatori” individuati sono, a ben vedere, gli stessi sui quali l’ANCE ha sempre posto attenzione, concentrandovi la sua azione, proprio perché “sintomatici” di possibili opacità nel mercato.

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Link esterni

  • ANAC

Working paper n. 5 

Collana scientifica dell’Anac

 

1 allegato

Collana scientifica Anac - WP n.5

Collegio Consultivo Tecnico: il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici adotta le linee guida

Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ha adottato, lo scorso 21 dicembre, le “linee guida per l'omogenea applicazione da parte delle stazioni appaltanti delle funzioni del Collegio Consultivo tecnico di cui agli articoli 5 e 6 del d.l. 16 luglio 2020 n. 76, convertito in legge 11 settembre2020, n. 120”.

Tale provvedimento è stato elaborato da un Gruppo di lavoro – cui ha contribuito anche l’ANCE, e composto da esperti nel settore dei lavori pubblici, provenienti dalla magistratura amministrativa, dall’amministrazione pubblica, dall’ANAC, dal mondo accademico e dagli ordini professionali - costituito dal Presidente del Consiglio Superiore dei LLPP, a fronte della richiesta di chiarimenti in merito al funzionamento dell'istituto, formulata dalla Fondazione dell’Ordine degli Ingegneri di Roma.

L’intervento chiarificatore è assolutamente apprezzabile. Il Collegio Consultivo Tecnico (di seguito CCT) rappresenta, infatti, una delle novità più importanti contenute nel Dl “Semplificazioni” (sul punto, vedi NEWS ANCE ID n. 41691 del 25 settembre 2020).

Si ricorda che, fino al 31 dicembre 2021, la costituzione del CCT è obbligatoria nel caso di contratti pubblici che prevedono la realizzazione di lavori di importo superiore alla soglia comunitariaanche se già in corso e se affidati sulla base di norme previgenti rispetto al d.lgs. n. 50/2016.

Il CCT può essere, invece, costituito in via facoltativa nei seguenti casi:

  1. per lavori di qualsiasi importo, nella fase antecedente l’affidamento, per risolvere problematiche tecniche o giuridiche di ogni natura, comprese le determinazioni delle caratteristiche delle opere, le clausole e condizioni del bando o della lettera di invito, nonché la verifica del possesso dei requisiti di partecipazione e dei criteri di selezione e di aggiudicazione;
  2. per lavori di importo inferiore alla soglia comunitaria.

Entrando nel merito del documento, si evidenziano di seguito i principali contenuti di interesse.

  • PREMESSA

In apertura, il documento chiarisce, in via generale, quali sono le prerogative e il ruolo che il CCT è chiamato a svolgere, alla luce della nuova disciplina introdotta dal Dl “Semplificazioni”.

In ragione di ciò, il documento, in linea con la normativa vigente, afferma espressamente che il CCT

  1. non svolge una funzione meramente consultiva di supporto, a differenza di quanto previsto dalla previgente normativa, ma assume anche determinazioni direttamente vincolanti per le parti;
  2. rappresenta, per le stazioni appaltanti e gli operatori economici, l’opportunità per addivenire in tempi rapidi e certi alla risoluzione di qualsivoglia controversia e disputa tecnica che possa insorgere nella fase di esecuzione di un contratto pubblico.
  • AMBITO DI APPLICAZIONE

Le linee guida precisano che:

  1. sono destinatari dell’applicazione della normativa de qua tutti i soggetti pubblici e privati tenuti all’osservanza delle disposizioni del d.lgs. n. 50/2016 operanti nei settori ordinari, nei settori speciali e nell’ambito delle concessioni;
  2. la costituzione di detto organo avviene esclusivamente in caso di affidamenti di lavori diretti alla realizzazione di opere pubbliche, ivi inclusi i lavori di manutenzione (sono pertanto esclusi da tale ambito gli affidamenti relativi a forniture e servizi);
  3. ai fini dell’applicazione della relativa normativa, l’importo di riferimento è quello dei lavori a base d’asta comprensivo degli oneri della sicurezza non soggetti a ribasso e si dovrà tenere conto anche di eventuali variazioni di importo dovute all’adozioni di varianti durante la fase di esecuzione del contratto (in tale ipotesi, ne viene raccomandata la costituzione prima dell’approvazione della variante, al fine di poter disporre dei relativi parere già nella fase preparatoria dell’atto aggiuntivo al contratto);
  4. diversamente dall’accordo bonario, non sussistono limiti di importo e di natura ai fini del deferimento delle questioni a tale organo;
  5. con riferimento ai lavori avviati alla data di entrata in vigore del DL 76, il CCT può essere chiamato ad assumere determinazioni e pareri in merito a questioni già oggetto di riserva, per i quali non siano state avviate procedure di accordo bonario o sulle quali non sia stato raggiunto l’accordo.
  • COSTITUZIONE, DURATA E REQUISITI 

Dopo aver ribadito l’obbligo di attivare il CCT prima dell’avvio dell’esecuzione dei lavori o comunque non oltre 10 giorni da tale data, come previsto dal decreto 76, si raccomanda l’immediata costituzione dello stesso per i lavori in corso di esecuzione alla data di pubblicazione del DL 76, per i quali la costituzione non sia ancora intervenuta.

Sul punto, viene specificato che l’inottemperanza, ovvero il ritardo nella costituzione del CCT nel caso di affidamenti superiori alla soglia comunitaria, comporta la violazione dei precisi obblighi, di cui all’art. 6, c. 1, del DL76.

In particolare, viene precisato che “Per la stazione appaltante, tale inottemperanza viene valutata ai fini della responsabilità del soggetto agente per danno erariale e costituisce, salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi di legge. Per l’operatore economico privato, l’eventuale inerzia si configura come significativa inosservanza dell’obbligo di leale collaborazione, con ogni relativa conseguenza sul piano dei rapporti contrattuali, fatta salva la dimostrazione di aver adottato ogni atto e condotta in suo potere tesa a sollecitare la parte pubblica al rispetto del dettato normativo”.

Qualora l’importo dei lavori superi la soglia comunitaria in relazione a varianti contrattuali in corso di esecuzione, si raccomanda la costituzione del CCT prima dell’approvazione della variante, al fine di poter disporre del parere del CCT già nella fase preparatoria dell’atto aggiuntivo al contratto. In ogni caso, il CCT deve essere costituito prima dell’esecuzione dei lavori in variante.

Quanto alla durata dell’attività del Collegio, se ne prevede lo scioglimento entro 30 giorni dalla data di sottoscrizione del certificato di collaudo tecnico-amministrativo, salvo che non sussistano richieste di pareri o di determinazioni in merito allo stesso collaudo.

Il 31 dicembre 2021 rappresenta, comunque, il termine a decorrere dal quale possono essere sciolti i collegi costituti nella vigenza il DL 76, nelle ipotesi obbligatorie; negli altri casi, lo scioglimento può intervenire in ogni momento, previo accordo tra le parti.

Per quanto invece attiene ai collegi già costituiti al momento dell’entrata in vigore del DL 76 ossia costituiti prima del 17 luglio 2020 - questi continuano ad operare anche successivamente al 31 dicembre 2021, salvo diverso accordo tra le parti.

Nel caso in cui la costituzione del CCT non abbia carattere obbligatorio, lo scioglimento può intervenire in ogni momento, previo accordo tra le parti.

In merito alla composizione di detto organo, ai sensi della disciplina vigente, “i componenti del Collegio possono essere scelti dalle parti di comune accordo, ovvero le parti possono concordare che ciascuna di esse nomini uno o due componenti e che il terzo o il quinto componente, con funzioni di presidente, sia scelto dai componenti di nomina di parte” (art. 6, comma 2, Dl “Semplificazioni”).

Nel caso in cui le parti non trovino un accordo sulla nomina del presidente, occorre procedere alla redazione di apposito verbale, che evidenzi il mancato raggiungimento dell’accordo”.

Successivamente, la designazione sarà effettuata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per le opere di interesse nazionale, e dalle regioni, dalle province autonome di Trento e Bolzano o dalle città metropolitane per le opere di rispettivo interesse. Tale designazione dovrà essere resa entro cinque giorni dalla richiesta avanzata dalla parte più diligente. Per le opere di esclusivo interesse comunale, il presidente è nominato dalla Regione.

Relativamente ai contratti nei quali il MIT risulti stazione appaltante o finanziatore dell’opera, si raccomanda che il presidente venga nominato dal Ministero su designazione di un organismo indipendente, che garantisca terzietà allo stesso presidente.

Viene poi opportunamente chiarito che la nomina dei componenti del CCT, anche se effettuata a favore di soggetti esterni alla stazione appaltante, ai sensi dell’art. 17, c. 1, lett. c), del d.lgs. n. 50/2016 e dell’art. 10, c. 1, lett. c), della direttiva 24/2014 UE, è esclusa dalle procedure concorsuali.

Naturalmente, in caso di sostituzione del presidente e dei membri, eventualmente necessaria per indisponibilità sopravvenuta o per dimissione dall’incarico per giusta causa di un componente, la nota chiarisce che occorre provvedere con le medesime modalità con cui si è proceduto alla relativa nomina.

Con riferimento poi al numero dei componenti, variabile da tre a cinque, secondo le specifiche esigenze e tipicità del contratto, le linee guida precisano che l’eventuale opzione per cinque componenti deve essere motivata con specifico riguardo alle professionalità di ordine tecnico, economico e/o giuridico necessarie ad assistere le parti nella fase esecutiva di contratti che per la loro particolarità richiedono tali apporti all’interno del CCT.

Circa i requisiti professionali del presidente e dei membri, viene chiarito chei componenti del CCT sono scelti tra ingegneri, architetti, giuristi ed economisti dotati di esperienza e qualificazione adeguati alla tipologia dell’opera, con comprovata esperienza nel settore degli appalti, delle concessioni e degli investimenti pubblici, anche in relazione allo specifico oggetto del contratto, favorendo per quanto possibile la multidisciplinarità delle competenze.

Vengono poi fissati alcune qualifiche che possono essere preferenziali per assumere la funzione, rispettivamente, di presidente o di componente.

Relativamente alle ipotesi di incompatibilità dei membri, viene chiarito che non può essere nominato componente del CCT colui che

a)    ha svolto o svolge sia per la parte pubblica, sia per l’operatore economico affidatario attività di controllo, verifica, progettazione, approvazione, autorizzazione, vigilanza o direzione, sui lavori oggetto dell’affidamento;

b)     egli stesso, o un ente, associazione o società di cui sia amministratore, ha interesse nel procedimento di esecuzione dei lavori oggetto dell’affidamento;

c)     ricada in uno dei casi “conflitto di interesse” di cui all’art. 42 del Codice dei contratti[1];

d)     non sia in possesso dei requisiti reputazionali e di onorabilità adeguati all’incarico da assumere;

e)     ricada in uno dei casi di cui all’art. 6, c. 8, del DL76.

Per quanto concerne la cause di incompatibilità del presidente, viene chiarito non può assumere tale ruolo colui che rientri in uno dei casi di cui ai precedenti punti a), b), c), d) ed e), o che abbia svolto, con riferimento ai lavori oggetto dell’affidamento, attività di collaborazione nel campo giuridico, amministrativo ed economico, ovvero rientri nei casi di ricusazione di cui ai punti da 2 a 6 dell’art. 815 del r.d. n. 1443/1940.

Per il pubblico dipendente, oltre ai casi di incompatibilità sopramenzionati, non può essere nominato componente o presidente del CCT colui che:

a)      non acquisisce, se dovuta, l’autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza;

b)      ricada in uno dei casi di incompatibilità di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001.

  • RAPPORTI TRA CCT COSTITUITO IN VIA FACOLTATIVA E IN VIA OBBLIGATORIA

Quanto ai rapporti tra CCT costituito in via facoltativa e in via obbligatoria, il provvedimento in esame prevede che, nel caso in cui venga nominato detto organo in fase pre-affidamento, e si voglia procedere alla sua costituzione anche per la fase di esecuzione, sarà necessario un accordo con l’operatore economico aggiudicatario dell’affidamento, che dovrà comunicare se intende sostituire o confermare, in tutto o in parte, i nominativi dei componenti prescelti dalla stazione appaltante nella fase antecedente all’esecuzione delle opere.

Viene poi precisato che, nei casi di nomina del CCT per i lavori sottosoglia, ove a seguito dell’approvazione di una variante tecnica e suppletiva, si verifichi, nella fase di esecuzione, il superamento della soglia comunitaria, è necessario che il CCT nominato in via facoltativa sia confermato e prosegua i lavori anche in regime di obbligatorietà.

  • INSEDIAMENTO, FUNZIONI e COMPETENZE

Il CCT si intende istituito al momento dell’accettazione dell’incarico da parte del presidente.

Entro i successivi quindici giorni, è necessario che i componenti sottoscrivano un verbale alla presenza del responsabile del procedimento e del rappresentante dell’operatore economico affidatario., in cui dichiarino, tra le altre cose, di non ricadere in nessuna delle cause di incompatibilità di cui al citato articolo 2.

Quanto alle funzioni, viene definitivamente chiarito, in linea con quanto auspicato da ANCE, che “il CCT ha una funzione preventiva di risoluzione di tutte le criticità che possano rallentare l’iter realizzativo di un lavoro pubblico. In questo senso la dizione utilizzata dal legislatore, che espressamente fa riferimento a controversie e dispute tecniche di ogni natura, fa rientrare nelle competenze del CCT ogni vicenda che possa influire sulla regolare esecuzione dei lavori, ivi comprese quelle che possono generare o hanno generato riserve”.

Circa i documenti da fornire al CCT,viene precisato che, le parti avranno l’onere di fornire allo stesso l’intera documentazione inerente il contratto. Nel caso in cui la costituzione, soprattutto per i lavori in corso, intervenga quando l’esecuzione è avanzata dovrà essere inviata al CCT tutta la documentazione che ha già generato riserve e/o problematiche tecniche da esaminare e sulle quali pronunziarsi. In ogni caso, entrambe le parti possono fornire al CCT la documentazione che ritengono possa consentire la piena conoscenza delle vicende del contratto, senza che una di esse possa opporsi all’ostensione di uno o più documenti forniti da controparte.

Al CCT è consentito udire le parti per chiarire, in contraddittorio, gli aspetti maggiormente controversi del contratto. Non è consentito che il CCT possa avvalersi di consulenti tecnici di ufficio. Rientra, invece, nei poteri del CCT richiedere ulteriore documentazione non fornita dalle parti ma ritenuta necessaria al fine di emettere il proprio parere.

  • ATTIVITÀ

Viene ribadito, anzitutto, che lo scopo di costituzione del CCT, dall’avvio dei lavori e fino al collaudo degli stessi, è quello di sovraintendere all’intera fase di esecuzione venendo, di volta in volta, a conoscenza di tutte le circostanze che possano generare problematiche incidenti sull’esecuzione.

A tal fine, si ritiene utile che CCT fissi riunioni periodiche per rimanere informato sull’andamento dei lavori, fermo restando che saranno le parti, mediante i quesiti, a richiedere formalmente che il CCT emetta le proprie determinazioni.

Al CCT viene inoltre riservata massima libertà sulla periodicità e sulle modalità di svolgimento delle proprie riunioni e dei sopralluoghi.

In ogni caso, il Collegio dovrà tenere informate le parti, il responsabile del procedimento e la commissione di collaudo tecnico-amministrativo circa le attività di propria competenza.

Quanto alle modalità di svolgimento delle riunioni, i sopralluoghi e le audizioni, al CCT è riservata massima libertà sulla periodicità e sulle modalità di relativo svolgimento.

Di ogni riunione del CCT si dovrà dare atto, con apposito verbale da inoltrare alle parti a cura del presidente o del segretario se nominato. Quanto all’audizione delle parti, il CCT non ha vincoli di sorta, avendo come unico limite il rispetto del contraddittorio delle parti.

Il CCT deve tenere informate le parti, il responsabile del procedimento e la commissione di collaudo tecnico-amministrativo circa le attività di propria competenza.

Sarà cura del direttore dei lavori riportare sul giornale dei lavori i dati sulla costituzione del CCT nonché in forma succinta l’estratto dei pareri e delle determinazioni di volta in volta adottati dallo stesso.

  • DETERMINAZIONI

In relazione alla natura delle determinazioni del Collegio, il documento de qua specifica che queste assumono valore di:

  1. Pareri, quando si tratta di decisione con specifico riferimento alla sola fattispecie della sospensione, volontaria o coattiva, dell’esecuzione dei lavori (trattasi di pareri obbligatori ma non vincolanti, ferma la competenza decisionale che la normativa attribuisce al RUP e alla stazione appaltante in materia di sospensioni);
  2. Determinazioni” a carattere dispositivo, quando si tratta di decisioni adottate al fine di risolvere ogni altra controversia o disputa tecnica, di qualsiasi natura, suscettibile d’insorgere o insorta nel corso dell’esecuzione del contratto.

Dette determinazioni, precisano le linee guida, producono gli effetti tipici del lodo contrattuale, attribuendo direttamente diritti o costituendo obbligazioni, fatta salva la loro impugnabilità per le tassative ragioni elencate dal Codice di procedura civile (art. 808- ter, secondo comma).

A tal fine, il documento raccomanda l’inserimento di apposita clausola nel contratto di affidamento, o al più tardi al momento della costituzione del CCT, che preveda la possibilità di devolvere a tale organismo la soluzione delle controversie o dispute tecniche relative all’esecuzione del contratto al Collegio.

Al più tardi in sede di sottoscrizione del verbale redatto al momento della costituzione del Collegio, le parti dovranno indicare espressamente se non intendono riconoscere alle determinazioni del CCT la natura di lodo contrattuale ai sensi dell’art. 808-ter c.p.c. e, quindi, in tal caso, che non intendono rinunciare a far valere le riserve a mezzo di accordo bonario o altro rimedio.

Al riguardo, viene chiarito che la volontà manifestata anche da una soltanto delle parti è sufficiente ad escludere la natura di lodo contrattuale delle determinazioni del CCT, e che tale volontà deve essere manifestata al più tardi nel verbale di insediamento del Collegio.

Ciò considerato, la scelta di attribuire o meno la natura di lodo contrattuale alle determinazioni del Collegio potrà essere espressa dalle parti in un momento in cui è già nota la composizione dello stesso organo, tenendo così nella dovuta considerazione, tra le altre cose, la composizione del Collegio.

Circostanza, questa, cui le imprese dovranno prestare particolare attenzione nel caso in cui non vi sia stato accordo sulla nomina del presidente, visto che, in tale ipotesi, come in precedenza sottolineato, lo stesso sarà comunque indicato dalla parte pubblica.

In ogni caso, conclude il documento, nell’ipotesi in cui le parti escludano espressamente la natura di lodo contrattuale, restano fermi gli effetti legali delle decisioni del CCT, ossia l’inosservanza delle relative determinazioni verrà comunque valutata ai fini della responsabilità del soggetto agente per danno erariale e costituisce, salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi contrattuali (art. 5 e art. 6, c. 3, DL 76/2020).

Quanto al procedimento per l’espressione dei pareri o delle determinazioni del CCT, si prevede che questo possa essere attivato da ciascuna delle parti o da entrambe congiuntamente con la presentazione di un quesito scritto attraverso formale richiesta direttamente al CCT e all’altra parte (in assenza di quesiti, detto organo non potrà quindi intervenire autonomamente o emettere pareri).

Resta fermo l’onere delle iscrizioni delle riserve secondo la disciplina contrattuale.

In ogni caso, le richieste di parere o determinazioni del CCT devono essere corredate da tutta la documentazione necessaria a illustrare le ragioni della contestazione precisando quale sia la domanda proposta.

Una volta attivato, il Collegio è sempre tenuto ad assicurare il pieno rispetto del principio del contraddittorio tra le parti nello svolgimento dei procedimenti sui quesiti che vengono allo stesso sottoposti e nella relativa istruttoria (art. 4).

  • COMPENSI

In merito al compenso dei componenti, nel documento vengono forniti sia i criteri specifici di calcolo, sia le modalità di relativo pagamento, cui si fa rinvio.

In linea generale, tale compenso viene calcolato sulla base di una parte fissa, comprensiva delle spese, e di una parte variabile, per ciascuna determinazione o parere assunto, e ripartito in misura del 50% per ciascuna parte, nel caso in cui il Collegio sia costituito in fase di esecuzione delle opere.

La quota parte degli oneri a carico della stazione appaltante è riportata nell’ambito delle somme a disposizione del quadro economico dell’intervento, attingendola alla voce “imprevisti” per lavori in corso.

Nel caso in cui invece sia nominato in fase pre-gara, il compenso e le spese saranno interamente a carico della stazione appaltante.

In allegato il testo delle linee-guida in commento, a cui si rimanda per una disamina completa della disciplina.


[1] Art. 42. (Conflitto di interesse)

1 (omissis).

2. Si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l'obbligo di astensione previste dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62.

3.(omissis)

4.(omissis).

5.(omissis).

1 allegato

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