Il Decreto Legge 76/2020 cd. “Semplificazioni” (G.U. n. 178 del 16/07/2020) ha previsto all’art. 10, comma 4 una proroga straordinaria triennale:
- dei termini di inizio e fine lavori dei permessi di costruire rilasciati o formatisi fino al 31 dicembre 2020 che avranno a disposizioni 4 anni (1 + 3) per l’inizio dei lavori e/o 6 anni (3 + 3) per l’ultimazione delle opere;
- delle Scia edilizie presentate entro il 31 dicembre 2020 che saranno efficaci 6 anni (3+3), mentre in via ordinaria per le Scia non è possibile richiedere una proroga ma, una volta scaduta, è necessario presentare una nuova Scia per la parte eventualmente ancora da realizzare.
La norma - in vigore dal 17 luglio scorso - prevede nello specifico che “Per effetto della comunicazione del soggetto interessato di volersi avvalere del presente comma, sono prorogati di tre anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, come indicati nei permessi di costruire rilasciati o comunque formatisi fino al 31 dicembre 2020, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell’interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell’interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati. La medesima proroga si applica alle segnalazioni certificate di inizio attività presentate entro lo stesso termine ai sensi degli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.”.
La proroga del DL 76/2020, pur nella sua formulazione che può dare luogo a diverse interpretazioni, risulta piuttosto ampia sia sotto il profilo temporale (tre anni, mentre il decreto 69/2013 aveva disposto una proroga straordinaria dei titoli abilitativi per due anni), sia sotto quello applicativo perché riguarda anche permessi di costruire e Scia che non sono stati ancora rilasciati o presentati. Non è stata prevista una analoga proroga delle convenzioni urbanistiche e dei relativi piani attuativi che si auspica possa essere inserita in sede di conversione del decreto legge.
Condizioni per l’operatività della proroga
Per l’operatività della proroga occorre che:
Rapporti con la proroga straordinaria del DL 18/2020
La proroga del Decreto Legge 76/2020 si sovrappone parzialmente a quella prevista dall’art. 103, comma 2 del Decreto Legge 18/2020 cd. “Cura Italia” che riguarda i permessi di costruire, le Scia, le segnalazioni certificate di agibilità, le autorizzazioni paesaggistiche e ambientali e in generale tutti gli atti di assenso comunque denominati in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020 e che consente una proroga di 90 giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza attualmente fissata al 31/07/2020 (con proroga quindi fino al 29/10/2020).
Considerato che la proroga del DL 18/2020 è di tipo “automatico” e non richiede comunicazione al Comune da parte dell’interessato, si riterrebbe che i permessi di costruire e le Scia che ricadono nell’ambito di operatività sia dell’art. 103 del DL 18/2020, sia dell’art. 10 del DL 76/2020 possano beneficiare di entrambe le proroghe con conseguente sommatoria dei periodi previsti.
Rapporti con le proroghe disposte a livello regionale e comunale
Alcune Regioni, in virtù della competenza normativa in materia urbanistico-edilizia, hanno previsto proroghe straordinarie dei titoli abilitativi (oltreché sospensioni/differimenti dei termini di pagamento del contributo di costruzione) e pertanto occorre verificare il raccordo tra normativa regionale e statale.
In allegato:
In base all’art. 16 del Dpr 380/2001 “Testo Unico Edilizia”, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione (comma 1). In alternativa alla corresponsione della quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione, il titolare del permesso può obbligarsi – nel rispetto delle disposizioni del D.lgs. 50/2016 “Codice dei contratti pubblici” e secondo le modalità e le garanzie stabilite dal Comune – a realizzare tutte o parte delle opere di urbanizzazione (primaria e secondaria), i cui costi vengono scomputati dalla quota dovuta (comma 2).
Nel caso in cui il privato si sia obbligato a realizzare a scomputo le opere di urbanizzazione, avviene di frequente che i costi sostenuti per le opere – ad esempio di urbanizzazione primaria - siano superiori agli oneri “tabellari” dovuti e pertanto si pone il problema se sia possibile “compensare” tali maggiori costi con gli oneri di altro tipo (ad esempio secondari) ovvero con il costo di costruzione.
Compensazione fra oneri di urbanizzazione primari e secondari
Per quanto riguarda la possibilità di procedere alla compensazione fra oneri primari e secondari, occorre evidenziare prima di tutto che alcune normative regionali lo consentono espressamente (es. Delibera Ass. Legisl. 186/2018 ai sensi della LR 15/2013 dell’Emilia Romagna) o implicitamente (es. LR 89/1998 dell’Abruzzo vieta la sola compensazione tra oneri di urbanizzazione e costi di costruzione). Occorre inoltre verificare l’eventuale presenza di disposizioni su questo tema nell’ambito della normativa locale(es. regolamento edilizio ovvero regolamento specifico su opere a scomputo).
In ogni caso, la giurisprudenza amministrativa ha sempre accolto favorevolmente questa soluzione sulla base delle seguenti motivazioni:
a) l'art. 16, comma 2 del TUE, nel disciplinare lo scomputo, non opera alcuna distinzione tra opere di urbanizzazione primaria e opere di urbanizzazione secondaria, per cui in assenza di compensazione, si ha una indebita duplicazione degli oneri monetari posti a carico del soggetto che esegue l'intervento edilizio, con conseguente ingiustificato arricchimento a favore del Comune;
b) gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria hanno la stessa natura giuridica;
c) il carattere indivisibile dell'obbligazione di pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Negli ultimi anni anche i giudici contabili, da sempre contrari alla prassi della compensazione fra diverse tipologie di oneri di urbanizzazione, hanno riconosciuto l’ammissibilità dello “scomputo globale ed indifferenziato” delle somme dovute per oneri urbanizzativi, a prescindere dalla tipologia delle opere realizzate dal soggetto attuatore, sulla base dell'uniformità — sotto il profilo finanziario — dell'utilizzo e della destinazione di questi proventi (vedi Corte dei Conti, Sez. di controllo della Lombardia, Delibera n. 154 del 14 maggio 2018).
Compensazione fra oneri di urbanizzazione e costo di costruzione
Per quanto riguarda invece la possibilità di procedere alla compensazione con il costo di costruzione, si sottolinea che alcune leggi regionali vietano lo scomputo dal costo di costruzione (es. Abruzzo, Liguria) e la giurisprudenza amministrativa non è unanime sul punto.
Il Consiglio di Stato, se in un primo momento (sez. IV, 28/11/2012, n. 6033) aveva affermato che l'indisponibilità dei costi di costruzione è nel senso che essi sono previsti e quantificati per legge, ma la forma del pagamento, con compensazione o meno, è rimessa all'accordo tra le parti, ha ribadito da ultimo che (sez. IV, 31/12/2019, n. 8919) l’art. 16 del TUE se consente la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione mediante scomputo dei costi dalla quota degli oneri di urbanizzazione, non permette anche lo scomputo della quota relativa al costo di costruzione, trattandosi di debito di diritto pubblico che, in assenza di espressa deroga legislativa, può essere estinto solo mediante pagamento in forma monetaria.
Sulla stessa posizione anche la Corte dei Conti, secondo la quale la possibilità di prevedere, in seno ad una convenzione urbanistica, l'assolvimento del costo di costruzione attraverso la realizzazione diretta di opere concordate con l'Amministrazione comunale non è previsto dalla legge e quindi contrasterebbe con il principio di legalità (vedi sempre Delibera della sezione di controllo della Lombardia n. 154/2018).
Ciò nonostante, si segnala che la normativa regionale – grazie all’esigenza sempre più sentita di rendere diffusi ed economicamente sostenibili gli interventi di rigenerazione urbana – si sta aprendo, a determinate condizioni, alla compensazione dei maggiori costi delle opere di urbanizzazione anche con la quota del costo di costruzione.
In Lombardia, infatti, la LR 18/2019 sul recupero e la rigenerazione del patrimonio edilizio esistente– integrando l’art. 46 della LR 12/2005 sul governo del territorio – ha previsto che nelle convenzioni urbanistiche “Nel caso in cui la realizzazione di attrezzature pubbliche e di interesse pubblico e generale prevista in convenzione non sia correlata alla necessità di garantire il reperimento della dotazione di cui all'articolo 9 e l'approntamento delle opere e delle infrastrutture sia totalmente aggiuntivo rispetto al fabbisogno generato dalle funzioni in previsione, è ammessa la possibilità di dedurre gli importi di dette opere o attrezzature a compensazione del contributo afferente il costo di costruzione di cui all'articolo 48”.
Alcune recenti sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali hanno affrontato la questione della rideterminazione degli oneri di urbanizzazione con particolare riferimento agli interventi e ai mutamenti di destinazione d’uso su edifici esistenti.
1. TAR Puglia, Lecce, nella sentenza della Sezione III, 02/03/2020, n. 299
Il TAR Puglia ha ricordato gli indirizzi già forniti sul tema dal Consiglio di Stato, secondo il quale il contributo di costruzione è suscettibile di rideterminazione - oltre che in presenza di un errore di calcolo – quando intervenga la scadenza del permesso di costruire con un rinnovo o una variante al titolo edilizio che incrementi il carico urbanistico.
2. TAR Puglia, sede di Bari, nella sentenza della sez. III, 02/03/2020, n. 346
Ugualmente, nel caso in cui si realizzi su un immobile esistente un mutamento di destinazione d'uso senza opere, più gravoso in termini di carico urbanistico, il TAR Puglia ha stabilito che nella eventuale quantificazione degli oneri dovrà tenersi conto degli standard urbanistici già garantiti.
Infatti qualora non si tenesse conto degli standard già ceduti (comprese le aree/immobili vincolate ad uso pubblico ma di proprietà privata), si determinerebbe un ingiustificato aggravio a carico dei richiedenti e un indebito arricchimento a vantaggio del Comune, considerato che la finalità degli obblighi di cessione degli standard è la garanzia del corretto e ordinato sviluppo del tessuto edificato nei limiti prescritti dallo stesso Comune in sede di pianificazione urbanistica nel rispetto del DM 1444/1968.
I giudici hanno ricordato infatti che, per giurisprudenza costante, l’eventuale previsione da parte degli Enti locali di standard urbanistici in misura superiore al minimo garantito dal DM 1444/1968 deve essere motivata (da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. IV, 19 febbraio 2019, n. 1151).
3. TAR Toscana, Firenze, sez. III, 26 marzo 2020, n. 367
Sempre in tema di rideterminazione degli oneri di urbanizzazione, il TAR Toscana è intervenuto su una fattispecie relativa ad un intervento edilizio assentito e mai eseguito, ma in relazione al quale erano state realizzate tutte le opere di urbanizzazione a scomputo concordate con il comune nell’apposita convenzione.
Il TAR ha precisato che, in presenza di una nuova istanza di permesso di costruire relativa al medesimo intervento, la rideterminazione degli oneri di urbanizzazione deve tenere conto delle opere di urbanizzazione già realizzate in precedenza e ciò anche se nel frattempo sia intervenuta una nuova disciplina urbanistica.
In caso contrario si avrebbe una doppia partecipazione a carico del privato per il medesimo insediamento con conseguente ingiustificato arricchimento dell'Amministrazione (vedi anche TAR Toscana, 27 novembre 2014, n. 1902).
In allegato le sentenze:
Dalle autorizzazioni per i trasporti eccezionali, ai documenti di guida, alla revisione dei veicoli, al bollo auto: numerose le proroghe che in questi mesi hanno interessato a vario titolo il trasporto.
Peraltro è entrato in vigore lo scorso 4 giugno il Regolamento dell’UE n. 698/2020 con il quale sono state adottate misure specifiche e temporanee per tutti gli Stati membri relativamente alla proroga della validità di certificati, autorizzazioni ecc. riguardanti il trasporto.
Al riguardo, il ministero dell’Interno è intervenuto (con Circolare Prot. n.300/A/3977/20/115/28 del 5 giugno 2020) per dirimere un eventuale contrasto tra norme UE e norme italiane e fornire una serie di istruzioni per la corretta applicazione (di cui si è tenuto conto nell’aggiornamento del quadro di sintesi in Allegato).
Per quanto riguarda il regime delle autorizzazioni che vige per trasporti eccezionali il ministero delle Infrastrutture (con Circolare Prot. n. 4051 dell’1 giugno 2020) ha fornito, invece, una serie di chiarimenti circa l’ambito di applicazione dell’articolo 103 del D.L. 18/2020 (che ha esteso la validità di una serie atti, certificati, autorizzazioni ecc) al fine di garantire omogeneità applicativa (di cui si è tenuto conto nell’aggiornamento del quadro di sintesi in Allegato). La circolare, dapprima, illustra le diverse tipologie autorizzative, poi si sofferma sul coordinamento delle disposizioni normative dell’art. 10 Codice della Strada e dell’art. 103, comma 2, del D.L. 18/2020 ed infine procede ad una disamina dei “casi particolari” per la validità della proroga del titolo autorizzativo. Nella Circolare si conferma la proroga della validità delle autorizzazioni in scadenza nel periodo fra il 31/1/2020 eil 31/7/2020 fino al 29 ottobre 2020 ribadendo però che gli enti proprietari delle strade sono tenuti ad effettuare una verifica di controllo sulle autorizzazioni che beneficiano della proroga. Infatti, qualora venisse riscontrata una incompatibilità nell’utilizzo della proroga essi possono provvedere a revocare o sospendere l’autorizzazione.
In allegato
Il modello di proprietà privata delineato dal codice civile e dalla legge urbanistica nazionale n. 1150/1942, tuttora vigente, si basa sulla possibilità che i piani urbanistici comunali riconoscano agli immobili (aree o fabbricati) la facoltà di edificare una certa quantità di metri cubi di volumetria o di metri quadrati di superficie, previa autorizzazione del Comune (ora denominata permesso di costruire) che ne riconosce la conformità alle previsioni del piano. Il diritto edificatorio è identificato quindi come una quantità di volumetria o superficie attribuita dall’amministrazione locale a un determinato fondo che può essere utilizzata per la realizzazione di uno o più fabbricati ovvero, ad alcune condizioni, può essere ceduta ad un altro soggetto. L’Ance – attraverso la redazione di alcune FAQ – fornisce indicazioni per la cessione dei diritti edificatori, evidenziando le condizioni richieste dalla normativa statale, regionale e comunale.
I diritti edificatori possono essere ceduti?
Da tempo nella prassi negoziale sono diffusi accordi tra privati, noti come “cessioni di cubatura” o “asservimenti di terreni a scopo edificatorio”, con i quali il proprietario di un’area cede tutta o parte della potenzialità edificatoria generata da essa ad un altro soggetto, proprietario di un fondo vicino. Quest’ultimo, incrementando la capacità edificatoria del proprio terreno, può così ottenere dal Comune un permesso di costruire che gli consenta di edificare sfruttando la cubatura acquisita in aggiunta a quella naturalmente espressa dal proprio fondo.
La giurisprudenza ne ha riconosciuto la possibilità, a condizione che:
- i fondi siano ubicati nella stessa zona omogenea così da avere la stessa destinazione urbanistica e normativa di attuazione;
- i fondi siano contigui o vicini così che la ridistribuzione della volumetria tra i due non determini una alterazione del carico urbanistico della zona e non modifichi la densità territoriale complessiva (vedi di recente la sentenza della Corte di Cassazione, penale, sez. III, 22 ottobre 2019, n. 43253 e il TAR Sicilia, Catania, 24 marzo 2020, n. 724).
I diritti edificatori possono essere commercializzati?
I sistemi di pianificazione urbanistica delineati dalle più recenti leggi regionali si basano su tecniche di perequazione, compensazione e incentivazione che prevedono la possibilità di far circolare i diritti edificatori tra fondi diversi all’interno del medesimo comune. In questi casi i diritti edificatori (spesso denominati “crediti edilizi” se derivanti da interventi di demolizione senza ricostruzione e/o rinaturalizzazione del terreno, ecc.) possono essere commercializzati, più o meno liberamente, secondo le prescrizioni dettate dalle normative regionali ed anche locali. In tutti i casi comunque sono individuabili tre fasi:
Alcune regioni (Lombardia, Liguria, Veneto, Puglia, Umbria, Prov. aut. Trento) hanno anche previsto la costituzione a livello comunale di registri dei diritti edificatori nei quali devono essere iscritti gli atti di cessione al fine di monitorare meglio i diversi passaggi di proprietà. Nell’ambito di tali registri devono essere generalmente annotati i dati catastali dell’area di decollo, i caratteri dei diritti edificatori, gli estremi dell’atto di cessione, i dati catastali dell’area di atterraggio e gli estremi del titolo edilizio attraverso cui vengono utilizzati (vedi, ad esempio, la Determinazione della Giunta comunale di Milano n. 890 del 10/05/2013 con cui è stato istituito il relativo Registro delle cessioni dei diritti edificatori).
I contratti di cessione di diritti edificatori si trascrivono?
Sì, l’art. 2643, n. 2-bis del codice civile (inserito dall’art. 5 del decreto legge 70/2011 convertito dalla Legge 106/2011) prevede l’obbligo di trascrizione nei registri immobiliari dei “contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale”. Ciò al fine di garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori, tramite, la pubblicità del trasferimento.
Esiste un criterio univoco di determinazione del valore dei diritti edificatori oggetto di cessione?
Per la determinazione del valore dei diritti edificatori non esistono modalità unitarie e consolidate e generalmente il criterio di valutazione è in relazione alla differenza tra il valore di mercato attuale dell’edificio/area e quello che acquisterebbe con l’aumento della potenzialità edificatoria. Le metodologie finalizzate alla valutazione si basano su perizie di stima che tengono conto delle quotazioni immobiliari OMI.
Posso costituire una ipoteca sui diritti edificatori?
L’art. 2810 del codice civile stabilisce che l’ipoteca – diritto concesso dal debitore al creditore, a garanzia di un credito, di espropriare un bene e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato – può essere costituita su un immobile (area o fabbricato) o su diritti di usufrutto, superficie, enfiteusi relativi ad immobili.
I diritti edificatori, pertanto, non essendo inclusi tra i diritti ipotecabili di cui all’art. 2810 c.c., non possono essere oggetto di ipoteca in via autonoma rispetto all’immobile a cui sono riconosciuti.
Cosa succede ai diritti edificatori se viene costituita una ipoteca sull’area/fabbricato a cui sono riconosciuti?
In base all’art. 2811 del codice civile l’ipoteca si estende “ai miglioramenti, nonché alle costruzioni e alle altre accessioni. dell’immobile ipotecato” e pertanto sembrerebbe doversi affermare, come evidenziato dalla dottrina notarile, che l’ipoteca costituita su un immobile gravi anche sui diritti edificatori riconosciuti ad esso dal piano urbanistico generale o attuativo. In questi casi, al fine di poter cedere liberamente i diritti edificatori, sembrerebbe opportuno in sede di costituzione dell’ipoteca inserire una clausola che ne preveda espressamente l’esclusione.
Un discorso diverso sembra potersi fare per i diritti edificatori riconosciuti non dallo strumento urbanistico comunale in via ordinaria, ma da normative regionali, sopravvenute e a carattere straordinario, come ad esempio i Piani casa nati dall’Accordo Stato-Regioni del 2009.
In questi casi si ritiene che, in presenza di una precedente ipoteca sull’immobile, l’eventuale cessione degli “incentivi premiali” riconosciuti dalla legge regionale, non determinando una riduzione del valore dell’immobile e di conseguenza di quello dell’ipoteca, possa avvenire liberamente anche in assenza di una clausola di esclusione.