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Rifiuti o sottoprodotti? Dalla Cassazione alcune indicazioni

Sono sottoprodotti quelle sostanze o quegli oggetti dei quali sin dall'inizio sia certa, e non eventuale, la destinazione al riutilizzo: è quanto ha affermato in una recente sentenza la Corte di Cassazione (sentenza n. 41607 del 13 settembre 2017).
 
In particolare, i giudici hanno evidenziato come “la mancanza di certezze iniziali sull'intenzione del produttore/detentore del rifiuto di «disfarsene» e l'eventualità di un suo riutilizzo legata a pure contingenze, impedisce in radice che esso possa essere qualificato come «sottoprodotto»”.
 
Ne deriva che – ad avviso della Corte - il deposito di rifiuti da demolizione in attesa di un loro eventuale, e quindi non certo, riutilizzo è di per se la prova dell’incertezza iniziale sul loro riutilizzo, prima ancora della loro produzione.
I giudici si sono poi soffermati sul reato di gestione illecita dei rifiuti di cui all’art. 256 del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente), sottolineando come si tratti di un illecito comune che può essere pertanto commesso da chiunque realizzi le condotte previste, ossia attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti non autorizzate. Come più volte ribadito dalla Corte di Cassazione, infatti, affinché si possa configurare tale reato ciò che rileva non è la qualifica soggettiva di chi lo commette, ma l’attività concreta posta in essere in assenza delle prescritte autorizzazioni (Sez. 3, n. 21925 del 14/05/2002; Sez. 3, n. 7462 del 15/01/2008; Sez. 3, n. 29077 del 04/06/2013; Sez. 3, n. 5716 del 07/01/2016).
 
 
In allegato la sentenza della Corte di Cassazione 41607 del 13 settembre 2017 (clicca qui)

Progettista e direttore lavori: quali responsabilità nell’appalto?

La responsabilità prevista dall’articolo 1669 del codice civile per rovina, vizi e gravi difetti che possono manifestarsi nei dieci anni successivi all’esecuzione dell’intervento edilizio sull’immobile o su alcune sue parti può riguardare anche coloro che abbiano collaborato nella costruzione, sia nella fase di progettazione o dei calcoli relativi alla statica dell’edificio che in quella di direzione dell’esecuzione dell’opera.
 
Secondo la giurisprudenza (v. in Allegato una selezione di pronunce giurisprudenziali di merito e di legittimità curata dall’Ance) la responsabilità prevista dall’articolo 1669 ha, quindi, un ambito di applicazione più ampio rispetto al tenore letterale della norma perché operante anche a carico del progettista, del direttore dei lavori e addirittura dello stesso committente che abbia provveduto alla costruzione dell’immobile con propria gestione diretta, ovvero sorvegliando personalmente l’esecuzione dell’opera rendendo l’appaltatore un mero esecutore dei suoi ordini.
 
La responsabilità dell’appaltatore perciò potrebbe essere esclusa: quando si tratti di vizio non rilevabile secondo l’ordinaria diligenza; l’errore da cui originano la rovina o i gravi difetti sia stato segnalato al committente ma quest’ultimo abbia egualmente richiesto di eseguire l’opera; la rovina o i gravi difetti siano dovuti a caso fortuito; l’appaltatore non disponga, nella realizzazione dell’opera, di un’autonomia tale da consentire l’imputazione della responsabilità in via esclusiva.
 
In ogni caso, anche quando nell’esecuzione dell’opera siano intervenuti, a vario titolo, altri soggetti dovrà comunque verificarsi chi tra questi abbia mantenuto il potere di direttiva o di controllo sull’altrui operato.
 
Questo significa, ad esempio, che la semplice presenza di un progetto fornito dal committente ( e di un direttore lavori) di per sé non tolgono all’appaltatore la propria autonomia in ordine ad un vaglio critico del progetto stesso e delle istruzioni che gli vengono impartite dal committente. Per cui l’appaltatore deve ritenersi corresponsabile dei vizi del progetto solo se questi erano palesemente riconoscibili con la perizia e lo studio che si può pretendere da lui nel caso concreto.
 
In pratica, se un’opera commissionata presenta gravi difetti causati da un progetto errato, dei danni derivanti da tali gravi difetti può essere a chiamato a rispondere non solo l'appaltatore, ma anche il progettista, ai sensi dell'art. 1669 c.c. Più precisamente mentre il progettista risponde dell'errata progettazione  l'appaltatore  va incontro ad una duplice responsabilità: risponde sia nell'ipotesi in cui si sia accorto degli errori e non li abbia tempestivamente denunciati; sia nell'ipotesi in cui avrebbe dovuto accorgersene, ma non lo ha fatto. Ciò vuol dire che anche in presenza di un progetto, residua pur sempre un margine di autonomia per l’appaltatore, che gli impone di attenersi alle regole dell’arte e di assicurare alla controparte un risultato tecnico conforme alle esigenze, eliminando le cause oggettivamente suscettibili di inficiare la riuscita della realizzazione dell’opera.
 
Rientra pertanto tra gli obblighi di diligenza dell’appaltatore, senza necessità di una specifica pattuizione, esercitare il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal committente, posto che dalla corretta progettazione, oltre che dall’esecuzione dell’opera, dipende il risultato promesso; e che l’obbligazione dell’appaltatore è di risultato.
 
E’ sempre, quindi, consigliabile inserire nel contratto di appalto specifiche e dettagliate previsioni sulla responsabilità dell’appaltatore in relazione a vizi e difetti derivanti dall’attuazione del progetto fornito dal committente.
 
Peraltro analoghe pattuizioni possono essere inserite anche con riferimento alla attività del direttore lavori laddove sia figura diversa dal progettista al fine di estenderne l’obbligo di controllo e limitare così l’eventuale responsabilità dell’appaltatore.
 
Il direttore lavori è colui che deve vigilare e garantire il risultato di una regolare realizzazione dell’opera. Non è richiesta la presenza continua e giornaliera sul cantiere ma egli deve verificare, attraverso visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa e con le ditte esecutrici delle varie fasi lavorative, che vengano rispettate le regole dell’arte e la corrispondenza tra il progettato e il realizzato.
 
Costituisce obbligazione del direttore dei lavori l'accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, e pertanto egli non si sottrae a responsabilità ove ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore ed, in difetto, di riferirne al committente.
 
La responsabilità del direttore lavori può anch’essa concorrere con quella dell’appaltatore il quale tuttavia, è bene ricordarlo, conserva la propria autonomia nonostante la presenza del direttore lavori. Peraltro, l’appaltatore ha il dovere di segnalare al direttore dei lavori gli eventuali inconvenienti e le complicazioni che sorgono in corso di esecuzione e che possano compromettere la regolarità dell’esecuzione stessa anche se non derivano da istruzioni del direttore. A maggior ragione può risultare opportuno che nel contrato di appalto siano definiti i limiti dell’incarico professionale conferito dal committente al direttore lavori ed in particolare la facoltà o meno di ordinare, ovvero autorizzare, variazioni dell’opera, di fissare termini ecc.
 
 

La nuova modulistica del Permesso di costruire

Lo scorso 6 luglio è stato siglato l’accordo  tra il Governo, le Regioni e gli Enti locali sul modello unico di permesso di costruire che segue i modelli unici di Scia, Cila e Segnalazione certificata di agibilità già approvati con l’Accordo tra Stato-Regioni-Enti locali del 4 maggio 2017.
 
In particolare sono state apportate delle limitate modifiche che non variano di molto la struttura della precedente modulistica del permesso di costruire  come approvata con l’Accordo del 12 giugno 2014.
 
Le Regioni avevano tempo fino al 30 settembre 2017 per adeguarsi e introdurre le eventuali specificazioni derivanti dalle normative regionali, mentre il termine per i Comuni è il 20 ottobre 2017.
 
In particolare i Comuni hanno l’obbligo di pubblicare sul loro sito istituzionale entro e non oltre il 20 ottobre 2017 i moduli unificati e standardizzati.
 
L’obbligo di pubblicazione della modulistica è assolto anche attraverso il rinvio ai link:
- della piattaforma telematica di riferimento;
- della modulistica adottata dalla Regione, successivamente all’Accordo e pubblicata sul sito istituzionale della Regione stessa.
 
La mancata pubblicazione dei moduli e delle informazioni entro il 20 ottobre 2017 costituisce illecito disciplinare per il responsabile dell’ufficio punibile con la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da tre giorni a sei mesi (articolo 2, comma 5, decreto legislativo n. 126 del 2016).
 
In allegato:
 
 
 

Distanze fra costruzioni: quando si applicano i limiti del DM 1444/1968

 L’art. 9 del DM 1444/1968 prescrive per i nuovi edifici ricadenti in zone diverse dalla zona A “la distanza minima assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti” (comma 1, n. 2), mentre sono ammesse distanze inferiori solo nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano-volumetriche comma 3, ultimo periodo). 

La giurisprudenza è costante nel ritenere che si è in presenza di una norma inderogabile posta a garanzia di esigenze collettive connesse all’igiene e alla sicurezza, laddove la tutela del diritto di proprietà degli immobili circostanti è assicurata dalla disciplina delle distanze fra costruzioni prevista dal Codice civile.
 
Nella sentenza della sezione IV, 14 settembre 2017, n. 4337, il Consiglio di Stato è tornato sul tema dei limiti di distanza fra costruzioni, affermando alcuni principi innovativi e cioè: 
  • l’art. 9, comma 1, n. 2 del DM 1444/1968 riguarda la nuova pianificazione del territorio e quindi i nuovi edifici, intendendosi per tali gli edifici o parti di essi (es. sopraelevazioni) costruiti per la prima volta. L’art. 41 quinquies della Legge 1150/1942, del resto, ha previsto limiti inderogabili di densità edilizia, altezza distanza, ecc. ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti;
  • l’art. 9, comma 1, n. 2 del DM 1444/1968 non riguarda gli interventi sul patrimonio edilizio esistente e dunque gli immobili che costituiscono il prodotto della demolizione di immobili preesistenti con successiva ricostruzione; in questi casi infatti l’applicazione del limite di 10 metri comporterebbe un arretramento dell’edificio rispetto all’allineamento degli altri fabbricati preesistenti con conseguente perdita coattiva di volume (una sorta di espropriazione del diritto di proprietà) e realizzazione di intercapedini, rientranze e spazi chiusi nocivi per l’igiene e la salubrità;
  • per stabilire se un intervento è soggetto al limite inderogabile di distanza di 10 metri non rileva, come nel caso esaminato nella sentenza, che sia qualificato come “nuova costruzione” e che sia stato oggetto di permesso di costruire (in particolare si trattava di una demolizione con ricostruzione di un edificio completamente diverso per tipologia e destinazione d’uso);
  • ciò che rileva per l’applicazione del limite inderogabile di distanza di 10 metri non è la formale definizione dell’intervento, ma il dato concreto della preesistenza di un immobile che si trova a distanza inferiore a quella prevista dall’art. 9, comma 1, n. 2.

   In allegato la sentenza del Consiglio di Stato n. 4337/2017 ( cliccare qui per scaricarla)

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