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Appalti pubblici: il MIT si esprime sul calcolo della soglia di anomalia

Al fine di assicurare uniformità ed omogeneità di comportamenti, il MIT ha emanato una circolare, contenente alcune indicazioni per le stazioni appaltanti sulle modalità operative di calcolo per l'individuazione della soglia di anomalia nei casi di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso (D.G. per la regolazione e i contratti pubblici, circolare n. 8 del 24 ottobre 2019).

Nella circolare sono sviluppati esempi di calcolo a seconda del numero delle offerte ammesse (rispettivamente pari o superiore a 15 ovvero inferiore a 15).

In particolare, per quanto riguarda il metodo applicabile laddove vi siano almeno 15 offerte ammesse, viene chiarito un passaggio rimasto fin ad ora poco chiaro, oggetto di attenzione anche da parte del giudice amministrativo, e si prevede che la detrazione da applicare sulla somma della media aritmetica e dello scarto medio aritmetico dei ribassi di cui all'art. 97, co. 2, lett. c), deve essere calcolata in valore assoluto.

Pertanto, seguendo l'esempio del MIT, alla soglia da decrementare (che si ipotizza pari a 15,761), si applica il decremento (che si ipotizza pari a 0,876) in valore assoluto e non percentuale, utilizzando la seguente formula: 15,761 - 0,876 = 14,885, e ottenendo così la soglia di anomalia (pari a 14,885).

Nel testo sono altresì presenti due novità.

Infatti, il MIT stabilisce la necessità "che nel bando di gara ... siano fissate le modalità per la formulazione dei ribassi percentuali delle offerte da parte degli operatori economici e il numero di cifre decimali dopo la virgola che saranno prese in considerazione ai fini delle operazioni di calcolo della soglia di anomalia".

Inoltre, nel caso in cui le offerte ammesse siano in numero inferiore a 15, viene esplicitata la variazione della metodologia di calcolo connessa al valore risultante dal rapporto tra lo scarto medio aritmetico e la media aritmetica dei ribassi delle offerte ammesse, al netto del taglio delle ali, ossia il valore denominato "R".

In particolare, il MIT "ritiene che tale valore (R) debba essere considerato senza arrotondamenti o troncamenti e, come tale, verificato se risulti inferiore, pari o superiore a 0,15".

Allegato

Circolare MIT 24 ottobre 2019, n. 8

Le precedenti esclusioni devono essere dichiarate in gara solo se iscritte nel Casellario ANAC

Con sentenza del 27 settembre u.s., n. 6490 il Consiglio di Stato ha ritenuto che, ai sensi del combinato disposto delle lettere c) ed f-ter), comma 5 dell’art. 80 del Codice dei contratti, l’onere dichiarativo ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento sia da ravvisare, per quanto riguarda le vicissitudini relative a gare pregresse, solamente rispetto alle notizie iscritte nel Casellario informatico tenuto dall’Osservatorio dell’ANAC.
 
Iscrizione, questa, che, com’è noto, presuppone l’accertamento, da parte dell’Autorità, del dolo o della colpa grave dell’impresa interessata (art. 80,  comma 12).
 
Nel merito della vicenda, è stata impugnata l’ammissione alla procedura di gara di un operatore economico - ai sensi dell’art. 120, comma 2 bis, del Codice del processo amministrativo, oggi abrogato, che obbligava a presentare ricorso entro trenta giorni dalla comunicazione della lista degli ammessi -  sotto due profili: anzitutto, perché aveva omesso di dichiarare di aver avuto precedenti esclusioni per falsa attestazione della regolarità fiscale; in secondo luogo, in ragione della pendenza di tre risoluzioni contrattuali per grave inadempimento, che l’operatore stesso aveva opportunamente segnalato alla stazione appaltante.
 
Tali esclusioni, ove correttamente dichiarate, avrebbero dimostrato, secondo la tesi sostenuta da parte ricorrente, la palese inaffidabilità della concorrente ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c), del D.Lgs. n. 50 del 2016, nel testo vigente secondo la disciplina del tempo (ossia quello anteriore alla novella di cui al D.Lgs. 14 dicembre 2018, n. 135).
Tale testo, come noto, faceva rientrare tra le condotte idonee a rendere dubbia l’affidabilità e l’integrità del concorrente (cd illecito professionale), quella di aver fornito “…anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione ovvero l'omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione".
 
Per completezza, si segnala che la previsione di cui all’art. 80, comma 5 lett. c), a seguito delle modifiche apportate dal D.lgs. n. 135/2018, è stata suddivisa in tre differenti ipotesi.
 
Le precedenti esclusioni, sempre secondo la ricostruzione di parte, andavano in ogni caso segnalate alla stazione appaltante, per consentirle di operare un'autonoma e discrezionale valutazione, ad essa solo riservata, rendendole possibile il corretto esercizio di tale potere di apprezzamento discrezionale in ordine all'effettiva integrità e affidabilità dell'impresa, desumibile da tutte le condotte pregresse tenute dall'impresa e sanzionate in precedenti gare.
 
La violazione degli obblighi dichiarativi costituirebbe, quindi, un'autonoma causa di esclusione dalla selezione per essere l'operatore economico tenuto a dichiarare tutte le circostanze e informazioni suscettibili di incidere anche sulla gara in corso.
 
Il giudice di appello, confermando la decisione del TAR Campania, ha tuttavia disatteso le censure formulate, ritenendo, al contrario, esente da vizi la valutazione della stazione appaltante e, quindi, legittima l’ammissione dell’operatore economico alla procedura de qua.
 
Ciò, per le motivazioni di seguito espresse.
 
Anzitutto, ha evidenziato che, al termine della scadenza per la presentazione della domanda di partecipazione, l’impresa non versava in alcuna situazione di irregolarità fiscale rilevante ai sensi dell’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50/2016, dal momento che aveva già provveduto a regolarizzare la propria posizione.
 
In secondo luogo, ha statuito che un partecipante ad una gara di appalto non è tenuto a dichiarare le esclusioni comminate nei suoi confronti in precedenti gare per aver dichiarato circostanze non veritiere, poiché la causa di esclusione ex art. 80, comma 5, lett c), del Codice si riferisce, e si conclude, all’interno della procedura gara in cui è maturata.
 
Contrariamente a quanto sostenuto nell'atto di appello, tale causa di esclusione non è riferita alle false dichiarazioni rese in procedure non in corso e, quindi, già svoltesi, ma, al contrario, alle "informazioni false o fuorvianti" ovvero all'omissione di "informazioni dovute" nei confronti della stazione appaltante nella procedura di gara in corso" (Cons. di Stato, V, 21 novembre 2018, n. 6576).
 
Ciò, fatto salvo che tali informazioni siano state iscritte nel Casellario dell’Autorità anticorruzione, nel qual caso tale evenienza integra un’autonoma causa di esclusione, ossia quella della lettera f-ter  del comma 5 (introdotta dal D.Lgs. n. 56 del 2017), per la quale l'avere presentato false dichiarazioni o falsa documentazione in precedenti gare è motivo di esclusione soltanto se abbia comportato l'iscrizione nel casellario informatico (ai sensi del comma 12 dello stesso art. 80) e "perdura fino a quando opera l'iscrizione nel casellario informatico".
 
Tantomeno, afferma il Supremo Consesso, una precedente esclusione da una gara pubblica per irregolarità fiscale può assumere rilievo, quale motivo di esclusione, in termini di grave illecito professionale.
 
Diversamente opinando, infatti, si realizzerebbe un’indefinita nonché illegittima protrazione di efficacia “a strascico” delle violazioni relative al pagamento di debiti per imposte e tasse.
 
Conseguentemente, si legge in motivazione, anche qualora, l'appellata avesse dichiarato la precedente esclusione, la stazione appaltante non avrebbe potuto tenerne conto ai fini escludenti, sia perché tale circostanza non era qualificabile ex se quale grave illecito professionale, sia perché risultava priva del carattere dell'attualità.
 
Pertanto, secondo il Collegio, anche in un’ottica di favor partecipationis,la preclusione alla partecipazione alle gare, per effetto della produzione di false dichiarazioni o falsa documentazione, deve restare confinata alle due ipotesi tipiche:
 
a) dell’esclusione dalla medesima gara nel cui ambito tale produzione è avvenuta;
 
b) dell’esclusione da ulteriori e successive gare, ma solamente qualora sia intervenuta l’iscrizione nel Casellario ANAC.
 
Di talché, resta preclusa per le stazioni appaltanti la possibilità di valutare autonomamente, a fini escludenti, l’omissione della comunicazione di precedenti esclusioni per false dichiarazioni, che non risultino anche iscritte nel summenzionato Casellario.
 
Quanto detto, peraltro, spiega effetti anche in relazione alle esclusioni derivanti dalla mancata comunicazione, in altre gare pregresse, di risoluzioni contrattuali per inadempimento, in cui era incorsa in passato l’impresa appellata e che aveva prontamente dichiarato in gara.
 
Infatti, secondo i Giudici di Palazzo Spada, anche per esse non sussisterebbe un generale obbligo di dichiarazione nell’ambito della partecipazione a nuove procedure, valendo il medesimo principio per cui tale dovere sorge esclusivamente in conseguenza dell’iscrizione nell’apposito Casellario.
 
Quindi, nell’ambito di una nuova procedura di affidamento, in capo all’impresa grava solamente l’obbligo di comunicare le pregresse risoluzioni per inadempimento, e non anche dichiarare di essere stati esclusi da gare passate per non aver osservato tale obbligo.
 
Ciò in quanto la stazione appaltante deve poter operare la propria valutazione discrezionale circa l’affidabilità dell’impresa partecipante, senza che possa assumere rilievo, ai fini della configurazione di gravi illeciti professionali, una pregressa esclusione disposta da altra committente.
 
In motivazione, il Giudice ha altresì ribadito, in linea con la precedente giurisprudenza, che il sindacato di legittimità che lo stesso può operare, nello scrutinio della valutazione sulla rilevanza delle pregresse risoluzioni, è limitato ai casi di manifesta illogicità, irragionevolezza, abnormità ed erronea rappresentazione dei fatti sottoposti a giudizio (cd sindacato estrinseco).
 
In conclusione, la pronuncia del Consiglio di Stato in esame assume una grande importanza, in quanto chiarisce quale sia l’onere dichiarativo che incombe in capo alle imprese partecipanti a gare pubbliche, circoscrivendolo, quanto alle esclusioni passate, alle soli ipotesi in cui i precedenti comportamenti siano stati iscritti nel Casellario Informatico dell’ANAC, nonché chiarisce che le precedenti esclusioni per irregolarità fiscale non possono assumere rilievo, quale autonomo motivo di esclusione, in termini di grave illecito professionale.
 
1 allegato

CdS 6490_2019

 

Gare ASMEL: accolto il ricorso presentato da ANCE e ANCE Lecce

Il TAR Lecce, il 4 ottobre u.s., ha pubblicato il dispositivo di sentenza n. 1529/2019 (a seguito dell’udienza di discussione svoltasi il 2 ottobre u.s.) relativa al ricorso promosso da ANCE ed ANCE Lecce (insieme a due imprese associate) avverso gli atti di una procedura di gara indetta dal Comune di Lizzanello (LE) gestito dalla centrale di committenza ASMEL e svolta sulla relativa piattaforma di e-procurement.
 
Nello specifico, al Giudice amministrativo territoriale era stato chiesto, nel ricorso, di valutare l’illegittimità:
1.      delle clausole del bando che prevedevano, nell’ambito dell’OEPV, l’attribuzione di punteggio in ragione dell’offerta di lavori aggiuntivi rispetto al progetto posto a base d’asta;
2.      della clausola che prevedeva, a carico dell’aggiudicatario, il pagamento di una somma pari all’1% dell’importo complessivo posto a base di gara a titolo di corrispettivo per i servizi di committenza dalla Centrale di Committenza “Asmel Consortile S.c.a.r.l.”.
 
La pronuncia in esame, pertanto, ha annullato gli atti di gara impugnati, in continuità con l’ordinanza cautelare n. 328/2019 dello stesso TAR (vedi NEWS ANCE ID 36376 DEL 20 GIUGNO 2019), a sua volta confermata in sede di appello cautelare dall’ordinanza n. 3810/2019 del Consiglio di Stato (vedi ID 36865 DEL 2 AGOSTO 2019). 
 
Le conclusioni alle quali è giunto il TAR salentino sembrano, quindi, aderire a quanto ANCE ha sempre sostenuto in merito sia alla rilevanza delle opere/prestazioni aggiuntive rispetto a quelle previste nel progetto a base di gara, sia all’addebito dei costi di gestione delle gare telematiche posto in capo agli aggiudicatari.
 
Su quest’ultimo punto, in particolare, l’Associazione, in questi ultimi anni, non ha mai smesso di sottoporre all’ANAC la valutazione in merito alla possibile illegittimità dell’obbligo di rifusione di tali costi, anche tramite un’attività di segnalazione di bandi caratterizzati da simile criticità, trovando sempre riscontri positivi – si vedano, da ultimo, il parere n. 44206 del 3 Giugno u.s. (vedi NEWS ANCE ID 36309 dell’11 GIUGNO 2019) e la recentissima delibera n. 780 del 4 settembre 2019 (NEWS ID 37234 del 1° OTTOBRE 2019).
 
Naturalmente, occorrerà attendere il deposito della sentenza integrale (che, a norma dell’art. 89 c.p.a., dev’essere redatta non oltre il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione della causa), per esaminare l'iter motivazionale percorso dai giudici di prime cure.
 
Riferimenti esterni:
· TAR Puglia - Lecce, Sez. III, Dispositivo di sentenza 4 ottobre 2019, n. 1529.

1 allegato

Sen. n. 1526 - 2019 TAR Lecce ASMEL

 

Con la delibera n.780 del 4/9/2019, l’ANAC: nelle gare ASMEL, è illegittimo l’addebito dei costi di gestione della piattaforma on line

Con la delibera n. 780 del 4/9/2019, l’ANAC ha reso noti gli esiti degli accertamenti ispettivi eseguiti dal Nucleo Speciale Anticorruzione della Guardia di Finanza e dai propri Uffici di Vigilanza nell’ambito di un’apposita indagine promossa dall’Autorità sull’attività contrattuale svolta da ASMEL (rectius: ASMEL Consortile S.c.a.r.l.). 

Le risultanze di tale attività ispettiva hanno consentito l’emersione di diverse anomalie relative ad una pluralità di aspetti del modus operandi di ASMEL.
 
In particolare, significativi elementi sono stati acquisiti in relazione alla problematica degli illegittimi oneri economici (inizialmente corrisposti nella misura dell’1,5% dell’importo a base di gara, secondo quanto riferito dall’ANAC) posti a carico degli aggiudicatari delle gare espletate per mezzo della piattaforma di e-procurement gestita da ASMEL, Asmecomm.
 
Innanzitutto, l’ANAC ha rimarcato il pregresso impegno di ASMEL a ridurre la misura percentuale del contributo, dall’originario 1,5% dell’importo a base di gara, all’1%.
 
Tuttavia, la stessa Autorità di vigilanza ha immediatamente evidenziato che la parziale riduzione dell’ammontare “dell’illegittimo contributo posto in capo all’aggiudicatario” non possa essere di per sé idonea a sanarne l’illegittimità.
 
Pertanto, nota l’ANAC, ASMEL si era ulteriormente impegnata (a seguito di un pregresso procedimento di vigilanza) a rendere disponibile “in forma totalmente gratuita” l’utilizzo della piattaforma telematica per le Stazioni Appaltanti (anche diverse dai propri soci), senza nulla disporre in ordine ai costi del servizio imputabili agli aggiudicatari.
 
A tal riguardo, allora, l’Autorità ha effettuato un’analisi di diversi e recenti bandi di gara riferibili ad alcuni Comuni aderenti alla predetta piattaforma online, dalla quale – nonostante l’evidenziato intento, da parte di ASMEL, di conformarsi al dettato dell’art. 41, comma 2 bis, d.lgs. n. 50/2016 – “si è potuto rilevare che la clausola contemplante l’obbligo in capo all’aggiudicatario di pagamento del 1% forfettario dei costi della gara continua a persistere”.
 
I risultati di tali accertamenti – seppur realizzati “a macchia di leopardo” – costituirebbero, ad avviso dell’ANAC, segnali di una tendenza ben più generale da parte di ASMEL, vòlta ad addebitare in via ordinaria agli aggiudicatari gli oneri economici in esame.
 
A tal proposito, l’Autorità rileva che – anche ammettendo che tale anomalia sia il frutto della negligenza di alcuni Comuni associati, non informatisi sul presunto “cambiamento di rotta” da parte di ASMEL circa la richiesta dei costi di gara agli aggiudicatari– tale pretesa “in assenza di espressa previsione di legge, nazionale o regionale, non può in alcun caso giustificarsi, sia pure se finalizzata a fornire alla stazione appaltante un rimborso, anche in via forfettaria, delle spese di gestione”.
 
E, comunque – sancisce l’ANAC –,  anche ammettendo che la responsabilità di tali addebiti sia da attribuire ai Comuni consorziati, “dovrebbe essere la stessa Associazione a vigilare affinché i bandi di gara dei propri associati siano conformi al dettato normativo che non prevede, in maniera assoluta, tale modalità di attribuzione delle spese di gara a carico dell’aggiudicatario”.
 
Peraltro, prosegue l’Autorità, lo stesso parametro di calcolo del contributo (misura percentuale fissa sull’importo a base d’asta) appare “oggettivamente irrazionale e incongruo, in quanto non coerente con l’obiettivo di recuperare i costi sostenuti per l’utilizzo della piattaforma telematica. Pertanto, venendo meno il rapporto di corrispettività, viene snaturato il fine di mero “rimborso dei costi sostenuti”.
 
Da ciò consegue, quindi, che tale onere appare privo di giustificazione causale e, in assenza di un’espressa previsione normativa, potrebbe configurarsi sul piano civilistico come “indebito arricchimento”.
 
Inoltre – sostiene sul punto l’ANAC –, l’obbligo di corresponsione di un contributo percepito come illegittimo dagli stessi operatori economici rischierebbe di ingenerare anche un effetto anticoncorrenziale (in pieno contrasto con il principio del favor alla più ampia partecipazione alle procedure di gara), dato dal possibile rifiuto dell’aggiudicatario a corrisponderne l’importo, così comportando quello che la stessa ANAC definisce rifiuto all’aggiudicazione.
 
Infine, l’Autorità conclude sul punto citando espressamente – a sostegno delle proprie conclusioni – l’ordinanza cautelare n. 328/2019 emessa dal TAR Lecce (e confermata, pure in sede cautelare, dall’ordinanza n. 3810/2019 della V Sezione del Consiglio di Stato), pronunciata a seguito di istanza presentata – congiuntamente a due imprese associate – da ANCE ed ANCE Lecce (vedi NEWS ANCE ID 36376 DEL 20 GIUGNO 2019 e ID 36865 DEL 2 AGOSTO 2019).
 
Con tale arresto, il Giudice amministrativo di prime cure ha rilevato l’illegittimità della clausola in esame in quanto contrastante sia con il citato art. 41, comma 2-bis, del Codice di settore, sia dell’art. 23 della Costituzione (ai sensi del quale ogni prestazione patrimoniale imposta deve trovare il proprio fondamento in un’espressa norma legislativa).
 
Le conclusioni raggiunte dall’Autorità di vigilanza nel provvedimento in commento rappresentano un’ulteriore conferma di quanto da sempre sostenuto da ANCE.
 
Del resto, l’Associazione, in questi ultimi anni, non ha mai smesso di sottoporre all’ANAC la valutazione in merito all’eventuale illegittimità del rimborso dei costi gestionali, svolgendo – tra l’altro –un’attività di segnalazione di bandi caratterizzati dalla presenza della clausola in commento.
Da ultimo, l’Autorità si è pronunciata, in senso positivo, con il parere n. 44206 del 3 Giugno u.s. (vedi News ANCE ID 36309 dell’11 GIUGNO 2019).
 
Ora, alla luce delle risultanze istruttorie e delle considerazioni sopra riportate, nella parte dispositiva del provvedimento in commento, l’ANAC denuncia chiaramente il “persistere dell’aggiramento del divieto di cui all’art. 41, comma 2-bis, del d.lgs. n. 50/2016 da parte di alcune stazioni appaltanti che si avvalgono di ASMEL, secondo cui non è consentito porre a carico dei concorrenti, nonché degli aggiudicatari, i costi connessi alla gestione di piattaforme telematiche”.
 
Circa gli ulteriori aspetti critici toccati dalla delibera in commento, a seguito degli accertamenti operati dalla Guardia di Finanza e dai propri Uffici di Vigilanza, l’Autorità ha rilevato:
 
1.anomalie in relazione ai contratti di locazione passiva a beneficio delle diverse strutture dell’Associazione, i quali appaiono essere stati stipulati senza alcun previo confronto concorrenziale – al quale, invece, dovrebbe attenersi qualunque soggetto che svolga funzioni pubbliche –. Peraltro, sembrerebbe che tali contratti siano stati sottoscritti con controparti locatrici aventi legami di dipendenza o familiari con la stessa struttura associativa facente capo alle diverse strutture componenti l’Associazione consortile;
2.anomalie relative all’affidamento dei contratti di servizi informatici destinati al funzionamento della piattaforma di e-procurement, in quanto, anche in tal caso, ASMEL avrebbe omesso ogni procedura competitiva, procedendo, piuttosto, ad affidamenti diretti;
3.  mancato rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità ed imparzialità per il reclutamento del personale alle dipendenze dell’Associazione;
4.l’affidamento ad ASMEL – da parte dei Comuni di Spadafora (ME) e di Quarto (NA) - di compiti e funzioni propri delle stazioni appaltanti, quali l’espletamento delle operazioni di gara, ivi comprese le valutazioni di offerte presentate e la nomina del RUP, oltre alla verifica dei requisiti di ordine generale dei partecipanti.
 
Infine, l’Autorità di vigilanza ha disposto, per possibili iniziative sul piano giudiziario, la trasmissione delle risultanze istruttorie anche alla Procura Generale della Corte dei Conti e a quella regionale della Lombardia, oltre alla Procura della Repubblica di Varese – la sede sociale di ASMEL, infatti, si trova a Gallarate (VA) –.
 
 

Subappalto: la CGUE dichiara illegittimo limite del 30% previsto dal Codice dei contratti

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a seguito della domanda di pronuncia pregiudiziale depositata dal TAR Lombardia il 1° febbraio 2018, con la sentenza del 26 settembre 2019 (Causa C-63), ha dichiarato non compatibile con la direttiva 2014/24 la normativa italiana - art. 105, comma 2, del D.lgs. 50/2016 - che limita la possibilità di subappaltare nella misura del 30% dell’importo complessivo del contratto.

 
Quesito, questo, che, peraltro, la Corte aveva già affrontato e risolto nei medesimi termini, con riferimento però all’interpretazione della direttiva 2004/18, con la sentenza del 14 luglio 2016, Wroclaw - Miasto na prawach powiatu (C 406/14, EU:C:2016:562).
 
Il Giudice comunitario ha anzitutto evidenziato che il subappalto, in quanto strumento che favorisce l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, contribuisce al perseguimento di un interesse fondamentale dell’Unione, ossia il fatto che la concorrenza ad una gara di appalto sia la più ampia possibile.
 
Ad avviso della Corte, neanche l’obiettivo del contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici – di per sé legittimo - può giustificare una restrizione alle regole ai principi generali del TFUE, come quella rappresentata da un limite quantitativo fisso al subappalto.
 
Infatti, a parere dei giudici, il divieto di subappalto non è necessario né proporzionale al raggiungimento di tale obiettivo, che, invero, può e deve essere perseguito attraverso  misure idonee, peraltro già previste dalla legislazione italiana (come, ad esempio, le interdittive antimafia).
 
Ciò premesso, la Corte conclude affermando che, una normativa, come quella italiana, che vieti in modo generale e astratto il ricorso al subappalto oltre una certa percentuale, indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori, non è compatibile con la direttiva 2014/24.
 
Si allega il testo della sentenza.
 
 
 

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