La pubblica amministrazione, nella domanda d’accesso agli atti, è tenuta soltanto a valutare l’inerenza del documento richiesto con l’interesse palesato dall’impresa, e non anche l’utilità dello stesso documento, al fine del soddisfacimento della pretesa correlata.
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E’, quanto, emerge dalla sentenza n. 166 del 20 gennaio 2015, emessa dalla sezione V del Consiglio di Stato, in cui ai fini della richiesta di accesso di un soggetto escluso da una gara si è affrontato il rapporto tra disciplina normativa generale e quella particolare dettata in materia di contratti pubblici.
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Secondo la giurisprudenza prevalente, tale rapporto non va posto in termini di accentuata differenziazione, ma piuttosto di complementarietà, talchè le disposizioni e i principi (di carattere generale e speciale) contenute nella disciplina della legge n. 241 del 1990 devono trovare applicazione tutte le volte in cui non si rinvengono disposizioni derogatorie nel Codice dei contratti.
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Alla base di tale rapporto di specialità – vi è una consolidata giurisprudenza secondo la quale la disciplina dettata dall’art. 13 Codice dei contratti pubblici, essendo destinata a regolare in modo completo tutti gli aspetti relativi alla conoscibilità degli atti e dei documenti rilevanti nelle diverse fasi di formazione ed esecuzione dei contratti medesimi, costituisce una sorta di microsistema normativo, collegato all’idea della peculiarità del settore considerato, pur all’interno delle coordinate generali dell’accesso tracciate dalla L. n. 241 del 1990 (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 1603/2014).
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Infatti, nel codice dei contratti l’accesso è strettamente collegato alla sola esigenza di una difesa in giudizio della posizione giuridica lesa durante la procedura di gara, con una previsione, quindi, molto più restrittiva di quella contenuta nell’art. 24, l. n. 241 cit., che, invece, contempla un ventaglio più ampio di possibilità, consentendo l’accesso ove necessario per la tutela della posizione giuridica del richiedente, senza alcuna restrizione alla sola dimensione processuale.
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In particolare, è stata, ad es., ritenuta non fondata la richiesta di accedere alla documentazione tecnica di tutte le altre concorrenti, avanzata dalla società esclusa dalla gara, una volta che tale esclusione non risultava più impugnabile (Consiglio di Stato , Sez. V, sent. n. 1446/2014).
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Tuttavia, anche qualora venga applicato il citato art. 13 del Codice, una volta accertato che l’accesso è sorretto da un interesse difensivo del concorrente o, comunque, dell’impresa, concretamente ed effettivamente suscettibile di tutela giuridica nei limiti suddetti, la pubblica amministrazione, non è tenuta a valutare l’utilità del documento, al fine del soddisfacimento della pretesa correlata.
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Infatti, in applicazione dei principi generale del soccorso istruttorio (art. 24, comma 7, primo periodo, della legge n. 241 del 1990), il soggetto pubblico non può andare oltre una valutazione circa il collegamento dell’atto con la situazione soggettiva da tutelare e l’esistenza di una concreta necessità di tutela, “senza poter apprezzare nel merito la fondatezza della pretesa o le strategie difensive dell’interessato” (Consiglio di Stato, Sez. V sentenza del 23 marzo 2014, n. 1545 cit.).
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Ciò al fine di tutelare l’esigenza, di rilievo costituzionale, di assicurare la “parità delle armi” nel processo che vale a rendere ancora più solida la pretesa dell’impresa appellata.
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A fronte dell’importanza di questa tutela, il Consiglio di Stato non ritiene abbia rilevo l’eventuale forma privatistica dell’ente pubblico, cui si chiede l’accesso, che non è di ostacolo al riconoscimento della legittimazione passiva in capo a quest’ultimo (cfr. anche Cons. St., Ad Plen.. n. 5/2005).
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Pertanto, conclude il Collegio, l’interesse all’accesso ai documenti deve essere valutato in astratto, senza che possa essere operato, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso e , quindi, la legittimazione all’accesso non può essere valutata alla stessa stregua di una legittimazione alla pretesa sostanziale sottostante (cfr. anche Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2007, n. 55).
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1 allegato
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