L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota n. 9943 del 19 novembre scorso, si è espresso in merito al termine entro cui è possibile far valere la responsabilità solidale del committente per debiti contributivi, alla luce delle recenti pronunce della Corte di Cassazione (sent. n. 22110 del 4/9/2019; n. 18004 del 4/7/2019; n. 13650 del 21/5/2019; n. 8662 del 28/03/2019).
In particolare, l’Ispettorato, nel ricordare che la ratio della norma (art. 29, co.2 del D.Lgs n. 276/2003[1]) è quella di garantire il pagamento del corrispettivo e degli oneri previdenziali dovuti, consentendo al lavoratore e agli istituti previdenziali di esperire azione diretta nei confronti del committente che ha beneficiato della prestazione lavorativa, ha precisato che, al fine di individuare i termini per l’esercizio delle relative azioni, è opportuno distinguere i crediti retributivi dei lavoratori dai crediti contributivi degli Istituti previdenziali.
Al riguardo, la Corte di Cassazione si è recentemente espressa, affermando che il regime decadenziale dei due anni, di cui all’art. 29 della norma suddetta, trova applicazione esclusivamente all’azione esperita nei confronti del responsabile solidale da parte dal lavoratore e, pertanto, riguarda solo il soddisfacimento dei crediti retributivi. Non è, invece, applicabile all’azione promossa dagli Enti previdenziali per il soddisfacimento della pretesa contributiva, che resta soggetta alla sola prescrizione di cinque anni, di cui all’art. 3, co. 9 della L. n. 335/1995[2].
Tale argomentazione discende dal fatto che il rapporto di lavoro e il rapporto previdenziale, secondo la consolidata giurisprudenza, seppur connessi, sono distinti tra loro. L’obbligazione contributiva in capo all’INPS deriva dalla legge, ha natura pubblicistica e risulta, pertanto, indisponibile.
L’applicazione, dunque, del medesimo termine decadenziale, porterebbe, in caso di mancata azione da parte dell’Inps entro i due anni dalla cessazione dell’appalto, alla corresponsione della sola retribuzione (qualora il lavoratore si sia attivato tempestivamente) senza conseguente soddisfacimento dell’obbligo contributivo, con un conseguente danno per il lavoratore ai fini della protezione assicurativa.
[1] In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento. Il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d’imposta ai sensi delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali.
[2] Le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei termini di seguito indicati: a) dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, compreso il contributo di solidarietà previsto dall’articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° giugno 1991, n. 166, ed esclusa ogni aliquota di contribuzione aggiuntiva non devoluta alle gestioni pensionistiche. A decorrere dal 1° gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni, salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti; b) cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria.